La Cassazione si pronuncia in tema di corruzione in atti giudiziari e concorso del terzo nel reato
Cassazione Penale, Sez. VI, 29 aprile 2025 (ud. 11 marzo 2025), n. 16333
Presidente Di Stefano, Relatore Amoroso
Segnaliamo ai lettori, in tema di reati contro la PA, una pronuncia della sesta sezione penale in tema di corruzione in atti giudiziari (in relazione alle cd. “corruzioni comuni”) e concorso del terzo nel reato.
Quanto al primo aspetto, la Corte di cassazione ha affermato che “è certamente configurabile il reato di corruzione in atti giudiziari (e non anche i meno gravi reati di cui agli artt. 318 o 319 c.p.) quando l’oggetto del mercimonio sia l’asservimento generico della funzione giudiziaria, non essendo richiesta per l’integrazione del reato di cui all’art. 319-ter c.p. la finalità di favorire una determinata parte processuale in relazione ad uno specifico ed individuato processo, potendosi trattare anche di una pluralità indistinta di processi in rapporto ad una serie indeterminata di parti processuali da favorire o da danneggiare (ad es. tutti i processi che saranno trattati dal medesimo avvocato)“.
Ai fini della sussistenza del reato – si legge nella sentenza – “non è rilevante che l’accordo corruttivo possa avere avuto uno sviluppo imprevisto o che possa essere stato anche assunto con la previsione di una perdita economica per l’avvocato corruttore, atteso che lo scopo lucrativo non è stato descritto come l’unica finalità perseguita dall’avvocato, essendo stato evidenziato logicamente il suo interesse prioritario ad accrescere la propria affidabilità verso la clientela, nella prospettiva di poter garantire un esito certo di accoglimento delle istanze di revoca delle misure cautelari”.
Quanto al concorso di persone (che si aggiungono al corrotto e al corruttore) nel delitto di corruzione, i giudici ricordano come, “in base ai principi generali fissati dall’art. 110 cod. pen., sia richiesto un contributo materiale o morale che assuma una rilevanza anche solo agevolatrice ai fini del perfezionamento dell’accordo corruttivo o, quando tale contributo sopravvenga all’accordo, sia comunque utile al perfezionamento della dazione o ricezione dell’utilità oggetto dell’accordo“.
Al tempo stesso, occorre però, distinguere i casi in cui “la condotta del terzo costituisca soltanto l’oggetto della prestazione offerta come utilitas, divenendo essa stessa “merce di scambio” (si pensi al caso del terzo estraneo al reato che esegua la prestazione d’opera offerta dal corruttore al corrotto, come l’operaio che lavora per l’impresa che realizza l’opera oggetto dello scambio corruttivo)” da quelli di chi “provveda alla dazione dell’utilità per conto del corruttore ponendo in essere una condotta che integra essa stessa la fattispecie tipica del reato di corruzione“.
In conclusione, “deve essere esclusa la responsabilità di un soggetto che partecipi ad attività meramente esecutive – conseguenti rispetto a quelle che hanno integrato il reato – non rilevando la mera conoscenza che il reato sia stato commesso, mentre assumono rilevanza i contributi di consapevole partecipazione alla consumazione di un segmento delle condotte tipiche che integrano il reato di corruzione nella fase dell’accordo o in quella della dazione e ricezione dell’utilità offerta dal corruttore al corrotto“.