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Rapina e concessione della attenuante della “lieve entità” (dopo la sentenza n. 86/2024 della Corte costituzionale)

Cassazione Penale, Sez. II, 6 maggio 2025 (ud. 28 gennaio 2025), n. 16925
Presidente Pellegrino, Relatore Calvisi

Segnaliamo, in tema di rapina, la sentenza con cui la Corte di cassazione si è pronunciata sulla concessione della attenuante della cd. “lieve entità” a seguito della sentenza n. 86/2024 della Corte costituzionale.

In via preliminare, il motivo di ricorso – con il quale si lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante – è stato ritenuto ammissibile, “dal momento che la questione non era proponibile in sede di appello (sia con i relativi motivi, con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni), essendo l’intervento additivo del Giudice delle Leggi successivo alla deliberazione della sentenza impugnata“.

Secondo la giurisprudenza, infatti, “non è deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento di una diminuente ove la questione – già proponibile in sede di appello (perché successivo alla sentenza della Consulta) – non sia stata prospettata con motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni“.

Nel merito, in tema di rapina, “l’attenuante della lieve entità costituisce uno strumento ulteriore rispetto a quelli già disponibili – ivi compresa l’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 4), cod. pen. – per adeguare la sanzione all’effettiva gravità del fatto, sicché, ove le caratteristiche della condotta siano tali da far ritenere che si versa in un caso di offensività minima, legittimante la concessione di tale attenuante, il già avvenuto riconoscimento della diminuente comune non osta a un nuovo apprezzamento delle stesse, in funzione della concessione dell’ulteriore attenuante“.

Con riferimento al riconoscimento della circostanza attenuante in questione, “la Corte di legittimità ha due possibilità: a) può riconoscerla o denegarla, qualora dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerga con chiarezza che ci si trovi al cospetto di un fatto che nei suoi elementi descrittivi possa o meno prestarsi ad essere sussunto nell’alveo della diminuente; b) allorché, invece, la risoluzione della questione involga accertamenti di fatto che non risultano essere stati compiuti nel relativo giudizio di merito, la sentenza impugnata deve essere necessariamente annullata, altrimenti demandandosi alla Corte di legittimità lo svolgimento di un compito proprio del giudice del merito“.

Nel caso di specie – conclude la pronuncia – “dalla lettura della sentenza impugnata emergono elementi di valutazione espressi dalla Corte territoriale che lasciano fondatamente ritenere che il fatto non sia stato ritenuto di lieve entità, avendo il giudice del merito fatto riferimento a un pregiudizio complessivo, derivante dal reato per nulla “minimale”, avuto riguardo al valore dei beni oggetto del tentativo di sottrazione e al tenore della violenza e della minaccia esercitate nei confronti dell’addetto alla vigilanza“.

Redazione Giurisprudenza Penale

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