Il saggio contadino cinese e il giudice del ragionevole dubbio
in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 5 – ISSN 2499-846X
Partiamo da un aneddoto raccontato nel Libro di Mencio (uno dei grandi testi della tradizione detta “confuciana”, datato IV secolo a.C.) che vede come protagonista un contadino.
Volendo che la pianta del suo campo cresca e che ciò avvenga velocemente, il contadino dissotterra i semi germogliati e la sera racconta ai suoi figli il duro lavoro svolto: recandosi al campo, questi notano che tutto è ormai seccato.
In funzione dell’obiettivo che vi siete prefissati, commenta l’antico filosofo cinese, avete cercato di ottenere più direttamente l’effetto forzando il processo spontaneo e in questo modo andate, invece, incontro al fallimento: la crescita del germoglio era già nel potenziale della situazione (il seme sepolto nella terra).
Il saggio contadino non deve, dunque, né rimanere inerte restando ai bordi del campo e attendendo passivamente il processo di crescita trascurandolo né cadere all’opposto in un impaziente attivismo finalizzato. Bisogna, dice Mencio, favorire il processo in essere: sarchiando, rimondando ai piedi dello stelo, muovendo la terra, facendola respirare.
Non sarà lui dunque il protagonista, il contadino che pianifica e vuole, ma in primo piano devono essere e rimanere le condizioni coinvolte: opportunamente sfruttate dal saggio contadino, queste condurranno, infatti, al risultato.
Un testo antichissimo, questo, che ben disvela fondamentali peculiarità della plurimillenaria cultura cinese. Come ben evidenziato da un autorevole sinologo francese molto attento ai rapporti fra la cultura occidentale e quella cinese [1]: l’importanza del soggetto e del piano/modello a monte da questi posto come obiettivo e l’adozione conseguente dei mezzi necessari per attuarlo, nel pensiero classico europeo; la centralità della situazione e della capacità del soggetto di sviluppare le condizioni favorevoli della stessa in modo il più delle volte graduale e discreto, nel pensiero cinese; la centralità del soggetto con la sua sagacia, il suo intuito a monte nel concepire l’idea e con la sua volontà coraggiosa, intrepida nel realizzarla, nel pensiero occidentale; la saggezza e pazienza del soggetto che anticipa, dirige il potenziale della situazione facendogli conseguire il massimo effetto senza essere né apparire un eroe, nel pensiero cinese. “Del grande generale, non c’è niente da lodare, né la grande sagacia, né il grande coraggio”, dice l’antico filosofo e generale cinese Sun Tzu e ciò perché il grande generale sa volgere gradualmente, impercettibilmente a suo favore la situazione al punto che la battaglia, quando avverrà, sarà già vinta e quindi a lui non attribuiranno alcun merito; la vittoria sembra, infatti, emanare dalla situazione senza avere richiesto particolari doti umane e inventiva.
Ebbene, riflettere su queste fondamentali differenze radicate nella storia plurimillenaria del pensiero europeo/occidentale e cinese (ovviamente senza cadere in assolutizzazioni antistoriche e dimentiche del carattere sempre più cosmopolita e interconnesso del mondo moderno) può avere un grande valore, a livelli differenziali: non solo rispetto alle macro questioni politiche, economiche, ambientali e ai diversi approcci potenzialmente adottabili; ma anche in relazione a profili di gestione del “potere” in ambiti più circoscritti sebbene di grande importanza per gli interessi coinvolti. Ancora una volta sono di grande interesse le riflessioni di Francois Jullien [2].
Da un lato, vi sono capi d’azienda che sono insigniti del titolo di “manager dell’anno” e che sovente, qualche anno dopo, si rilevano protagonisti di disastrosi fallimenti; dall’altro, ve ne sono tanti altri che hanno saputo gestire così bene l’azienda, sfruttandone il potenziale, progressivamente, senza rischiare, senza lanciare grandi sfide, senza forzare il contesto in cui hanno operato, che lo sviluppo della loro azienda è sembrato essere venuto da sé (insomma, grandi manager “alla Sun Tzu”).
Facciamo ora un passo ardito ed entriamo nel “giardino” della giustizia penale.
Ardito.
Ma è poi così ardito immaginare di avvicinare quel graduale, faticoso, ordinato percorso di ricerca della verità (processuale, proprio per le regole e i limiti che lo disciplinano e caratterizzano) e quindi, nella fase propriamente processuale, di verifica (anch’essa ordinata e governata dal contraddittorio delle parti) dell’ipotesi accusatoria al racconto di Mencio?
E’ così ardito se riflettiamo sulla necessità che il giudice sia terzo in tutte le fasi del procedimento/processo e anche in special modo nella fase di formazione della prova nel e a seguito del contraddittorio fra le parti pubblica e private con il suo fondamentale valore gnoseologico, senza tuttavia essere inerte spettatore: né sull’an con i suoi riconosciuti poteri ufficiosi (ad esempio, con l’espletamento di approfondimenti peritali, con la possibilità di disporre integrazioni/approfondimenti istruttori) né sul quomodo (basti qui accennare al dovere del giudice di controllare e garantire una corretta cross-examination dei testimoni impedendo domande nocive o suggestive)?
E’ davvero così ardito se riflettiamo sui rischi di uno scivolamento di quest’ultimo delicato equilibrio verso un giudice che “intuisce” la verità e governa il processo come strumento di verifica della propria ipotesi con evidenti e pericolose forzature nella gestione dello stesso e nella valutazione finale del suo esito: specie nei processi che presentano interesse mediatico e in relazione ai quali i naturali (e ineliminabili perché connaturati all’uomo sempre e dovunque) sentimenti di autostima e di autocompiacimento possono presentare una significativa e insidiosa forza psicologica che si autogiustifica nella buona fede di chi opera per amore della verità?
E’ proprio così ardito se riflettiamo, infine, sul fatto che l’eventuale risultato di obiettiva incertezza in merito alla verifica dell’ipotesi accusatoria con conseguente esito assolutorio in coerenza con la fondamentale regola probatoria e di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio non è poi così lontano dal virtuoso contadino cinese che ha sfruttato con attenzione e scrupolo il potenziale della situazione e sia giunto a far crescere la pianta per come la natura ha permesso?
[1] F. Jullien, Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente, Laterza 2018, passim.
[2] F. Jullien, op. cit., pag. 36 e 37.
Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Vitelli, Il saggio contadino cinese e il giudice del ragionevole dubbio, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 5