Il Tribunale di Milano si pronuncia sulla distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione nel caso di intervento del terzo che agisca anche per un interesse proprio
Tribunale di Milano 24 febbraio 2025 (ud. 18 dicembre 2024), n. 15045
Presidente dott. Paolo Guidi, Estensore dott. Mario Morra
Segnaliamo ai lettori, in merito alla distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione nel caso di intervento del terzo che agisca anche per un interesse proprio, la sentenza con cui il Tribunale di Milano ha affermato il seguente principio di diritto: “può configurarsi il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non quello di estorsione anche nel caso di intervento del terzo mosso dall’aspettativa di una ricompensa per sé, purché la pretesa azionata nei confronti del debitore non ecceda l’entità di quanto effettivamente dovuto (o ragionevolmente ritenuto tale) e la richiesta di adempimento del credito non costituisca un pretesto per realizzare ulteriori finalità illecite“.
Sul tema riguardante la possibilità del terzo concorrente di rispondere del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pronuncia si discosta da quanto affermato dalle Sezioni Unite Filardo – secondo cui tale eventualità è configurabile esclusivamente nel caso in cui il terzo abbia commesso il fatto “al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé” – aderendo a quanto affermato da alcune successive sentenze (tra le quali Cassazione Penale, Sez. II, 15 novembre 2023, n. 46097), secondo cui “in caso di concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 629 cod. pen. deve essere individuato in un ingiusto profitto con danno altrui senza che rilievo assuma il movente dell’azione criminosa”
Ritiene il Tribunale – si legge nella pronuncia del Tribunale di Milano – “che le conclusioni alle quali sono pervenute le richiamate sentenze di legittimità, successive all’intervento delle Sezioni Unite, vadano condivise“, essendo “pienamente condivisibile il rilievo secondo cui è necessario di distinguere il dolo dai motivi a delinquere“.
Prosegue il Tribunale osservando come, “una volta ammesso, come in modo pienamente condivisibile fanno le Sezioni Unite, che possa configurarsi il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni anche quando la condotta violenta o minacciosa sia posta in essere non dal creditore ma da un terzo da lui incaricato, il fatto che quest’ultimo agisca a titolo gratuito e nell’esclusivo interesse del creditore oppure previa pattuizione o nella speranza di ottenere anche un corrispettivo per sé appare un aspetto assolutamente neutro per la posizione della persona offesa, per la quale sarà del tutto indifferente la circostanza che il creditore abbia di fatto rinunciato ad una parte di quanto a lui spettante per ricompensare il terzo, cosa della quale spesso sarà persino ignara“.
Secondo la pronuncia, “la previsione di una pattuizione interna tra creditore e terzo o addirittura, come sostenuto in alcune pronunce, l’aspettativa del terzo di ottenere per sé un vantaggio persino non patrimoniale (formula che parrebbe ricomprendere addirittura la mera riconoscenza per l’aiuto prestato) non determina alcun aggravamento della lesione della sfera patrimoniale e personale della vittima o comunque certamente non una lesione tale da giustificare un balzo sanzionatorio della pena detentiva massima da un anno di reclusione a quella di dieci anni di reclusione“.
Completamente differente – si precisa – “resta la posizione della vittima dell’estorsione rispetto a quella della persona offesa dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni: la prima è costretta a sottostare ad un sopruso, ad una vera e propria vessazione che, non solo determina una lesione ingiusta della propria sfera patrimoniale, ma incide pesantemente anche sulla propria libertà e dignità personale, per il fatto di dover soggiacere ad una prevaricazione ingiustificata; laddove la vittima dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per quanto certamente da tutelare rispetto a qualsiasi comportamento violento o minatorio, su un piano sostanziale non può ritenere totalmente ingiusta, vessatoria e immotivata la pretesa di adempimento di un debito determinato ed esigibile“.
In conclusione, “il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza sulle cose sia con violenza o minaccia sulle persone), nel caso di intervento del terzo concordato con il creditore, si può configurare anche quando il terzo sia mosso dall’aspettativa di ottenere una ricompensa o altro vantaggio, purché la pretesa azionata nei confronti del debitore non ecceda l’entità di quanto effettivamente dovuto e la condotta sia essenzialmente volta al soddisfacimento di un credito esistente (o in buona fede e ragionevolmente ritenuto tale)“.