La prova (non) digitale distorta.
in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 7-8 – ISSN 2499-846X
La Rivista è lieta di ripubblicare uno studio effettuato dalla Camera Penale di Roma, Commissione “Prassi distorte del processo”, dal titolo “La prova (non) digitale distorta” (pubblicazione originaria al seguente link).
Lo studio prende le mosse da un’analisi dei criteri che sovrintendono l’ammissione e l’utilizzazione processuale della c.d. “prova digitale”, evidenziando come tale tipologia di prova – per sua stessa natura – abbia ad oggetto dati fragili, volatili e facilmente manipolabili. Per evitare che l’accertamento giurisdizionale venga inficiato da elementi spuri, è allora necessario che ogni attività estrapolativa dei contenuti di un supporto informatico e/o telefonico avvenga nel rispetto di rigorose procedure forensi, atte a garantire l’integrità e l’autenticità del file acquisito rispetto al file originale.
Il principio deve trovare applicazione non solo per l’attività di indagine svolta dal pubblico ministero, rispetto alla quale operano le disposizioni in materia di perquisizione e sequestro informatico introdotte dalla L. n. 48 del 2008, ma anche all’attività di impulso probatorio delle parti private. In un mondo oramai dominato da programmi di editing e di intelligenza artificiale, attraverso cui è possibile replicare – in modo assolutamente realistico – qualsiasi forma di interazione umana, non è più accettabile che le prove a carico dell’imputato continuino a basarsi su dati, in teoria, digitali (ad esempio, e-mail o conversazioni whatsapp), ma prodotte in giudizio dalla persona offesa dal reato in formato soltanto analogico (ad esempio, screenshot).
Come citare il contributo in una bibliografia:
Commissione prassi distorte del processo della Camera penale di Roma (a cura di), La prova (non) digitale distorta, in Giurisprudenza penale Web, 2025, 7-8