Imbrattamento di cose altrui: depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 105/2025)
Corte costituzionale, 10 luglio, sentenza n. 105
Presidente Amoroso, Relatore Sangiorgio
Segnaliamo ai lettori il deposito della sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 terzo comma Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze «nella parte in cui prevede che per i fatti ivi descritti [deturpamento o imbrattamento di cose altrui] si applichi – anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 c.p., né ha ad oggetto i beni di cui agli art. 635 co. 2, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies c.p. – una sanzione penale anziché la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000».
Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa:
Non è in contrasto con la Costituzione la configurazione come reato dell’imbrattamento di cose altrui.
Con la sentenza n.105, depositata oggi, la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del codice penale nella parte in cui contempla il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui nella ipotesi base, in cui non si verificano, per modalità, natura del bene danneggiato e contesto spaziale di riferimento, le diverse e più gravi fattispecie autonome di reato previste dalla norma.
Le questioni erano state sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Firenze, chiamato a giudicare un soggetto accusato di aver imbrattato con materiale organico la porta e le pareti esterne di un immobile situato in un condominio di una zona periferica cittadina. Il giudice rimettente aveva espresso il proprio dubbio di illegittimità costituzionale della norma in questione, in ragione della ritenuta manifesta irragionevolezza e difetto di proporzionalità del trattamento riservato dal legislatore a un fatto che, pur offendendo un medesimo bene, ma in misura inferiore rispetto al delitto di danneggiamento, e in modo da non comprometterne la funzionalità, ha conservato rilevanza penale nonostante l’espunzione dal codice penale e la trasformazione in illecito civile, pecuniariamente sanzionato, del “vecchio” danneggiamento semplice. In via subordinata, il giudice a quo aveva denunciato il contrasto con l’art. 3 Cost. del quinto comma dello stesso art. 639 cod.pen., che dispone la procedibilità d’ufficio per i casi di cui allo stesso art. 639, secondo comma.
La Corte ha osservato che, nonostante l’intervenuta abrogazione della fattispecie di danneggiamento semplice, trasformata in torto civile, l’atto di imbrattare un bene altrui, non diversamente qualificato, conserva rilievo penale a seguito di una scelta del legislatore di contrastare fenomeni di diffusa illegalità che si caratterizzano per l’offesa al decoro urbano, avuto riguardo all’interesse collettivo a preservare il territorio urbano dal degrado, particolarmente a fronte dell’intensificarsi di fenomeni criminali volti a determinarlo.
Tale intento, si rileva nella sentenza, è confermato dalla nuova figura di reato di deturpamento introdotta dal d.l. n. 48 del 2025, convertito con modificazioni, nella legge 9 giugno 2025, n. 80 ‒ che opera sulla struttura della disposizione dell’art. 639 cod. pen. ed esprime la chiara volontà del legislatore di irrigidire il trattamento punitivo di condotte in cui plurimi sono i beni attinti. Viene, così, riconosciuta una dimensione collettiva del fenomeno penalmente rilevante, in cui la condotta di deturpamento o imbrattamento non si configura più come una meno grave declinazione del delitto di danneggiamento, ma si pone come lesiva di un nuovo interesse, caratterizzato da una peculiare concezione dell’estetica avente autonoma e distinta rilevanza penale.
La Corte rileva che, pur nella opinabilità della scelta legislativa concernente la perdurante rilevanza penale delle fattispecie in esame a fronte del differente trattamento riconosciuto a talune ipotesi di danneggiamento, l’intervento richiesto dal rimettente comporterebbe la necessità di un complessivo riassetto della disciplina sanzionatoria in materia, precluso a giudice delle leggi. Un siffatto intervento, infatti, sarebbe volto a isolare profili solo patrimoniali all’interno di quella che è ormai una fattispecie unitaria più ampia, comprensiva di una pluralità di beni, con conseguente superamento dei limiti del controllo di legittimità costituzionale: donde la inammissibilità delle questioni poste sul trattamento sanzionatorio, e, in via subordinata, sul regime di procedibilità del reato in esame.
Roma, 10 luglio 2025