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La legge 8/8/19 n. 77 di conversione del cd. “d.l. sicurezza”: la nozione di riunione e di manifestazione pubblica

in Giurisprudenza Penale, 2019, 9 – ISSN 2499-846X

E’ noto che il diritto costituzionalmente tutelato di libera associazione, come tutti i diritti, possa subire delle restrizioni. La libertà del singolo trova limitazioni in caso di partecipazione, genericamente, in riunioni pubbliche (comizi, partite di calcio, discoteche affollate, etc.) od anche nelle ipotesi residuale di assunzione del ruolo di viaggiatore su un mezzo di trasporto pubblico (sugli aeromobili non si possono portare armi, mentre sui treni e mezzi di trasporto pubblico terrestre, statali o regionali, e sui traghetti delle ferrovie, le armi devono essere scariche e smontate).

I concetti di riunione e di manifestazione pubblica, se pur presenti a vario titolo in diverse norme eterogenee, non hanno mai goduto di specifici apporti ermeneutici da parte del legislatore volti a precisarne le caratteristiche, come l’indole lecita o meno delle adunanze, il luogo di convegno, le modalità, le caratteristiche di ciascuna, etc.

Nel codice penale il riferimento è ai concetti di “riunione” di persone, quindi quale adunanza non pubblica, ed a quello di radunata, la quale si caratterizza per la manifestazione collettiva e non privata della medesima. Il concetto di riunione di persone nel c.p. si differenzia da quello del mero concorso di persone (così come richiamato dall’art. 628 comma 3 n. 1 e nell’art. 629 comma 2 c.p.) in ragione del preventivo accordo comune e della presenza simultanea, fattispecie del tutto eventuale nel reato concorsuale. L’ulteriore idea di radunata, da significarsi quale concomitante adunata di persone, ancorché casuale, assume significato penale se caratterizzata da sediziosità, (art. 655 c.p.), cioè da aggressività e sommossa, quindi tale da turbare la pacifica convivenza, in quanto espressione di ribellione verso i pubblici poteri.

Con l’avvento della legge in discussione è stata introdotta diffusamente la nozione di manifestazione in luogo pubblico o aperto al pubblico quale condotta aggravante di alcune norme incriminatrici (ex artt. 339, 340, 419 e 635).

Nel T.U.L.P.S. si fa riferimento sia alla nozione di riunione pubblica, sia di assembramento pubblico, e viene in parte fornita un’interpretazione del concetto di riunione pubblica, intendendosi tale anche quella che “…per il luogo in cui sarà tenuta, o per il numero delle persone…o per lo scopo o l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata…”. Si delinea quindi un primo carattere del concetto di riunione pubblica, prescindendo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 1958, quale concertata adunanza di più persone (e comunque in forma/luogo non privato) volta a raggiungere un generico scopo comune prestabilito. Diversa appare essere invece la nozione di assembramento pubblico, quale adunanza non concertata, caratterizzata da spontaneità e mancanza di uno scopo comune prefissato. L’art. 5 della legge n. 645 del 1952 fa invece indifferentemente riferimento sia alla nozione di riunione, sia a quella di manifestazione pubblica (“…a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista…”). L’art. 4 della legge n.110 del 1975 si concentra unicamente sul concetto di riunione pubblica.

Gli artt. 6 bis e 6 ter della legge n. 401 del 1989 si riferiscono al simile ma diverso concetto di manifestazione sportiva, la quale trova una fonte certa d’interpretazione nell’ art. 2 bis del D.L. n. 336 del 2001 il quale specifica che per “manifestazioni sportive” debbano intendersi unicamente le competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal CONI, escludendo così che possano essere ricomprese nella categoria anche altri eventi. L’art. 5 bis della legge n. 152 del 1975 si riferisce invece a manifestazioni non meramente pubbliche, ma in luogo pubblico o aperto al pubblico.

E’ quindi evidente la confusione che sorge in conseguenza dei continui e disattenti interventi del legislatore nella specifica materia. Ma ancora più angoscioso è l’accavallarsi di norme criminali i cui precetti si contraddicono tra di loro e si pongono in parte quali norme speciali o addirittura integrative di altre.

La norma che potremmo definire “base” è l’art. 4 della legge n. 110/75 che vieta il “porto” di armi di qualsiasi tipo nel corso di riunioni pubbliche anche a colui che è munito di licenza (sono quindi autorizzati tutti coloro che possono andare armati senza licenza, come gli appartenenti alle forze di polizia, i direttori di carcere, i magistrati, gli appartenenti ai servizi di sicurezza, etc.). E’ evidente che tale norma ha riguardo per lo più le armi proprie diverse da quella da fuoco per le quali vige una norma criminale costituente delitto e quindi di maggiore gravità (art. 4 legge n. 895 del 1967), eccetto i casi di titolari di licenza che non rispettino il divieto. Ma non è da escludersi l’ipotesi di colui il quale, nel corso di una riunione pubblica, porti uno strumento “chiaramente” (avverbio del tutto ridondante) utilizzabile per l’offesa alla persona (recte: oggetto atto offendere, sinteticamente così definito nel comma 3 dell’art. 4), pur munito di un giustificato motivo (evidentemente, ab origine): a dire il vero mal si comprende come il porto possa essere giustificato nel momento in cui l’attore si rechi armato impropriamente presso la riunione pubblica, ma questa è l’unica interpretazione che può conferirsi al comma 5 della citata norma.

Tale previsione generalizzata viene in parte contenuta, ma rispetto ad una condotta che rispecchia un contesto più specifico, quando la riunione pubblica si caratterizza per essere una manifestazione sportiva, ex artt. 6 bis e 6 ter della detta legge n., 401 del 1989. Altra, per altro incongrua, differenza consiste nella circostanza per cui il divieto riguardante alcuni oggetti considerati ex lege pericolosi ed in genarle tutti quelli che sono “atti ad offendere” (quindi tutti tipi di armi, proprie ed improprie) deve avere riguardo ad una condotta di “lancio” o di “utilizzazione”. Mentre la prima azione appare essere dettagliata e specifica e riguardare in particolare alcuni oggetti (razzi, petardi, pietre, etc.) più complesso sul piano ermeneutico è distinguere la classica nozione di “porto” da quella di “utilizzo”. Non pare che i due concetti possano identificarsi oppure essere soggetti ad un principio di continenza: utilizzare significa porsi in una condizione attiva rispetto al bene, cioè avvalersi dell’oggetto, finalizzarlo all’uso previsto, trarne il vantaggio proprio di esso.

Da ciò consegue che colui che si limiti a portare un’arma impropria (es. coltello) od anche di un’arma da fuoco, se munito di licenza, nel corso una manifestazione sportiva risponderà del solo reato contravvenzionale ex art. 4 della legge n. 110 del 1975. Ma neanche la mera utilizzazione può essere sufficiente per la configurabilità del reato de quo: occorrerà che l’utilizzazione crei un concreto pericolo per l’incolumità, il che vale a dire che sussista un rischio caratterizzato da un’alta possibilità di verificazione dell’evento, mentre un mero impiego dell’oggetto atto ad offendere di per sé non sarebbe sufficiente a concretizzare ciò.

Ma a chiusura dei comportamenti illeciti nei luoghi nei quali si svolgano manifestazioni sportive od interessati agli stessi, è la condotta non di porto di beni atti ad offendere, ma di possesso in flagranza. Ma il possesso presuppone una pregressa detenzione non estemporanea, una stabile relazione tra il bene e la persona che esercita un potere di controllo esclusivo del bene, che in realtà potrebbe essere affidato ad un mero detentore (cd. possesso indiretto) il quale, in quanto tale, esercita un potere di fatto sulla cosa al servizio del  possessore (art. 1140 comma 2 c.c.). In tal caso il mero detentore non sarebbe punibile, non rivestendo per l’appunto la figura di possessore (es. possiedo dei petardi e li affido sul momento, nel corso della manifestazione, per la loro precaria detenzione, ad un amico). Differentemente, il porto si caratterizza per una condotta di diretta ed esclusiva gestione del bene, in condizioni d’immediato utilizzo o, comunque, tale da acquisirne facilmente la disponibilità materiale per farne un uso immediato. L’art. 5 bis della legge n. 152/75 introdotto dal D.L. in questione, non fa altro che reiterare alla lettera l’antecedente art. 6 bis della legge 401/89, estendendo il divieto previsto per le manifestazioni sportive a qualunque manifestazione pubblica.

Resta incomprensibile l’altrettanto confuso comportamento del legislatore che non solo non ha provveduto ad abrogare la norma “ricalcata”, ma neanche ha ritenuto di disciplinare i rapporti di tale norma con quella ex art. 4 della legge 110/75.

Nel tentativo di semplificare le scelte ingarbugliate del legislatore, possiamo sintetizzare che colui che ha la disponibilità di un oggetto atto ad offendere in un luogo non privato, può esporsi a sanzione penale nei seguenti casi:

  • porta l’oggetto, munito di licenza (ma non esiste la licenza per un’arma impropria..) oppure con un motivo giustificato, in una riunione pubblica,
  • utilizza illegittimamente l’oggetto, in modo da creare pericolo per le persone, nel corso di manifestazioni sportive;
  • viene trovato in possesso dell’oggetto nel corso di manifestazioni sportive;
  • utilizza illegittimamente l’oggetto, in modo da creare pericolo per le persone, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Landolfi, La legge 8/8/19 n. 77 di conversione del cd. “d.l. sicurezza”: la nozione di riunione e di manifestazione pubblica, in Giurisprudenza Penale, 2019, 9