Il tempo scaduto del diritto penale della crisi d’impresa e dell’insolvenza
in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 9 – ISSN 2499-846X
Il diritto penale della crisi d’impresa, nella sua architettura vigente, rappresenta la cristallizzazione di un modello storico e funzionale profondamente diverso da quello attuale. La legislazione penale fallimentare – ancora fondata sul Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 – si è sviluppata in un contesto in cui il fallimento era l’esito naturale e centralizzato della crisi, e la tutela punitiva si innestava ex post per sanzionare condotte patrimonialmente dissipative o documentalmente fraudolente emerse in sede giudiziale.
L’avvento del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha prodotto un mutamento teleologico: il focus si è spostato dalla liquidazione e tutela del credito alla preservazione della continuità aziendale, con strumenti di allerta, piani attestati, accordi di ristrutturazione e, soprattutto, Composizione Negoziata della Crisi (CNC). Tali istituti si collocano in una dimensione non (o debolmente) giurisdizionale, caratterizzata da fluidità negoziale e controllo giudiziale attenuato.
Il risultato è una frattura sistemica: il diritto penale opera su fattispecie e soglie calibrate per un contesto liquidatorio post-dissesto; il diritto della crisi moderno agisce in fasi precoci, in itinere, in cui l’offesa può essere potenziale ma irreversibile nelle sue conseguenze economiche.
Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Ferriani, Il tempo scaduto del diritto penale della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 9