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Stato di necessità ex art. 54 c.p. e violazione di sigilli – Cass. Pen. 20425/2014

Cassazione Penale, Sez. III, 16 maggio 2014 (ud. 21 marzo 2014), n. 20425
Presidente Teresi, Relatore Scarcella, P.G. Spinaci

Con la sentenza n. 20425/2014, la Terza Sezione della Suprema Corte si pronuncia sul caso di un soggetto al quale veniva sequestrato un immobile abusivo che doveva servire al predetto per condurvi l’attività lavorativa di carrozziere.

Dopo il sequestro, lo stesso veniva nominato custode giudiziario e, in spregio all’art. 349 c.p., violava i sigilli apposti al bene sequestrato, subendo conseguentemente la condanna a pena detentiva e pecuniaria. L’imputato, col ricorso per cassazione, lamentava il mancato riconoscimento dello stato di necessità ex art. 54 c.p.: il reato era stato compiuto in quanto solo la fruizione dell’immobile sottoposto a sequestro dall’Autorità, e dunque lo svolgimento in esso dell’attività lavorativa, poteva consentire all’agente di soddisfare le esigenze primarie di mantenimento di se stesso e del proprio nucleo familiare. Veniva asserito, in sintesi, che il compimento dell’illecito era stato inevitabile e assolutamente necessario per scongiurare il grave pregiudizio alle condizioni economiche che permettessero di far fronte ai bisogni fondamentali della vita quotidiana.

Peraltro, il ricorrente prendeva atto della astratta possibilità di bypassare l’illecito rivolgendosi alla “moderna organizzazione sociale coi suoi vari istituti” (cit. pag. 1 della sentenza in allegato), ma riteneva che tale ausilio fosse possibile a livello ipotetico, dovendo invece il singolo individuo fare i conti con la concretezza delle situazioni, che non permettono sempre un intervento tempestivo e fruttuoso dell’autorità pubblica.

Le asserzioni difensive vengono destituite di ogni fondamento dalla Terza Sezione con la sentenza in epigrafe, che motiva come segue.

In primo luogo, la S.C. rammenta che, secondo le più accreditate acquisizioni giurisprudenziali, il danno grave ex art. 54 c.p. non è solo quello alla persona intesa nella propria corporeità (vita, integrità fisica) ma anche quello ai diritti della personalità diversi dai menzionati: es. libertà, pudore, onore, decoro (da rammentare è infatti una minoritaria impostazione che esclude dall’alveo dell’art. 54 c.p. i diritti personali diversi dall’incolumità fisica sulla scorta di un presunto rapporto di specialità tra l’art. 54 cit. e l’art. 384 c.p., sicché solo questa seconda norma citata conferirebbe rilievo a beni diversi dalla vita/integrità fisica, ndr).

Il secondo sentiero argomentativo percorso dalla Corte di Legittimità inerisce ad uno degli elementi strutturali dello stato di necessità: la c.d. “inevitabilità altrimenti”. Più precisamente, la scriminante in parola si applica solo qualora l’agente sia assolutamente necessitato a commettere l’illecito, sia perché funzionale ad evitare il danno grave, sia perché egli non può in concreto intraprendere altra via lecita per scongiurare le derivazioni lesive promananti dalla situazione di rischio incombente.

E’ proprio tale elemento costitutivo a difettare nella situazione fattuale relativa al predetto ricorrente: egli, nominato custode giudiziario di un immobile non ancora materialmente destinato all’attività di carrozziere, doveva astenersi dal commettere il delitto ex art. 349 c.p., avendo tra le altre opzioni operative quella di trovare altra sede per svolgere tale mestiere e quella di farsi assumere almeno temporaneamente presso terzi (anche nell’ambito della medesima categoria lavorativa) per far fronte ai bisogni propri e dei parenti.

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