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Gli errori della Corte Costituzionale nella vicenda Taricco: uno sguardo all’Italia e all’Europa

in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 1 – ISSN 2499-846X

In data 17.1.2014 veniva formulata nelle aule del Tribunale di Cuneo un’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’UE che avrebbe dato il via ad una questione estremamente complessa, coinvolgente i massimi vertici giurisdizionali italiani ed europei. All’interno del provvedimento si evidenziava una patologia del nostro sistema, aspramente criticato da più parti, ma inevitabilmente presente ancora oggi, aggravato dalle modifiche introdotte nel 2005 con la legge ex Cirielli. Il giudice cuneese rivolgeva dunque il proprio appello alla Corte di Giustizia, invitandola a risolvere i problemi legati al decorso del termine prescrizionale, connessi alla lentezza che affligge il nostro ordinamento.

Il tutto origina da un caso di frode, punito ai sensi del decreto legislativo 74 del 10.3.2000, per il quale la legge prevede un termine di prescrizione di sei anni. Oltre a ciò, gli imputati erano accusati anche del reato di associazione a delinquere, che prevede termini di prescrizione diversi a seconda che il soggetto sia un organizzatore (pari a sette anni) ovvero un membro (pari a cinque anni di reclusione). Di conseguenza, nel caso concreto, la prescrizione sarebbe sopraggiunta entro sette anni dalla commissione dei fatti, per gli organizzatori, e sei anni, per i membri, con la possibilità di interromperne il decorso in base a quanto disciplinato dall’art. 161 c.p. Proprio questa norma sull’interruzione, o per meglio dire, il combinato disposto tra l’art. 160, ultimo comma, c.p. e l’art. 161 c.p. hanno giustificato l’intervento del giudice europeo. Ciò è dovuto al fatto che le norme stabiliscono che il decorso della prescrizione può essere interrotto da una serie di atti del procedimento, con la conseguenza che dovrà ripartire ex novo, ma, salvo casi peculiari tassativamente individuati, “in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere” (art. 161, comma 2, c.p.). Questo inciso è frutto della modifica del 2005, che ha drasticamente ridotto i termini prescrizionali, dando vita al problema presentatosi presso il Tribunale di Cuneo, dove ci si è domandati se una tale procedura non sia in contrasto con la legislazione dell’UE sulla repressione dei reati fiscali, al fine di garantire uno sviluppo armonico dell’economia dei Paesi membri. Qualora, infatti, i colpevoli di reati che riguardano l’economia dell’Unione dovessero rimanere impuniti in uno degli Stati membri a causa della legislazione ivi presente, ciò cagionerebbe un danno anche per gli altri Stati.

In base a queste premesse, i giudici europei hanno affrontato la questione, cogliendo l’occasione per delineare un nuovo modello interpretativo del sistema della prescrizione, ordinando ai giudici nazionali di disapplicare il combinato disposto. Si è trattato di una decisione innovativa, seppur limitata alle materie di competenza dell’Unione e, in particolare, ai casi ricompresi dall’art. 325 TFUE.

Tuttavia, un nuovo capitolo si è aperto nel momento in cui la Corte d’Appello di Milano e la Corte di Cassazione (con un’interpretazione peraltro controcorrente) hanno rimesso una questione di legittimità costituzionale alla Consulta, la quale ha colto l’occasione per interpellare nuovamente la Corte di Giustizia, così da chiarire quale sia la vera portata della modifica. Il nucleo della questione metteva in luce il difetto di determinatezza della decisione della Corte di Giustizia, che non avrebbe chiarito quali dovessero essere i criteri con cui il giudice nazionale avrebbe dovuto disapplicare la normativa interna.

Tuttavia, il problema di fondo appare più risalente, radicato nella tradizione giuridica italiana, che vede contrapposti due schieramenti, senza che si sia ancora giunti ad una soluzione definitiva e totalmente condivisa. Ci si riferisce al problema legato alla natura giuridica della prescrizione, per la quale, a seconda degli interpreti, si opta per quella sostanziale o per quella processuale, con importanti risvolti in tema di successioni di leggi nel tempo. A ben vedere, però, i dubbi non si esauriscono qui. Essi non si limitano all’art. 25, comma 2, Cost., ma abbracciano altre norme della Carta costituzionale, facendo emergere un profondo contrasto tra plurime esigenze e portando addirittura a dubitare dalla correttezza delle argomentazioni della Corte Costituzionale.

Di certo vi è che la Corte di Giustizia, contro ogni pronostico ha accolto le ragioni dell’istante, tornando sui propri passi e perdendo così l’occasione per allineare l’Italia alla normativa di altri Paesi (o addirittura fallendo nella possibilità di creare un diritto europeo della prescrizione).

Come citare il contributo in una bibliografia:
E. Giachello, Gli errori della Corte Costituzionale nella vicenda Taricco: uno sguardo all’Italia e all’Europa, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 1