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La Cassazione torna a fare il punto su responsabilità degli enti e non punibilità per particolare tenuità del fatto

Cassazione Penale, Sez. III, 15 marzo 2019 (ud. 23 gennaio 2019), n. 11518
Presidente Sarno, Relatore Ramacci

1. Con la sentenza allegata, la terza sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul rapporto tra l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., e l’accertamento della responsabilità degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001.

La Corte prende le mosse citando la decisione n. 9072/2018 secondo cui «in tema di responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, qualora nei confronti dell’autore del reato presupposto sia stata applicata la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 737-bis cod. pen., il giudice deve procedere all’autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso, che non può prescindere dalla verifica della sussistenza in concreto del fatto di reato, non essendo questa desumibile in via automatica dall’accertamento contenuto nella sentenza di proscioglimento emessa nei confronti della persona fisica».

La Corte ricorda anche che nella motivazione, dando conto del fatto che, a seguito dell’introduzione dell’art. 131-bis nel codice penale, nessuna modifica è stata apportata all’art. 8 d.lgs. 231/01, venivano prospettate due diverse soluzioni interpretative, tra loro alternative: la prima, fondata sul tenore letterale del citato art. 8, propende per l’esclusione della responsabilità dell’ente, poiché tale disposizione non considera espressamente le cause di non punibilità (quale quella prevista dall’art. 131-bis cod. pen.) tra le ipotesi che la lascerebbero sussistere; la seconda, invece, ritiene non ragionevole il fatto che l’ente non sia esente da responsabilità nelle ipotesi, indicate dall’art. 8, lett. b) di estinzione del reato per cause diverse dall’amnistia e non anche quando il reato sia accertato ma non punibile, come nei casi stabiliti dall’art. 131-bis cod. pen., la cui applicazione comporta conseguenze anche pregiudizievoli quali l’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale e l’effetto di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo di danno ai sensi dell’ art. 651-bis cod. proc. pen.

2. Ciò chiarito, deve essere ribadita – si legge nella decisione – «l’esclusione di ogni automatismo tra l’eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del reato e l’accertamento della responsabilità dell’ente, la cui autonomia è stabilita dal già citato art. 8 d.lgs. 231/2001, nel quale, come è noto, si afferma che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, nonché quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia».

Le ragioni della autonomia della responsabilità dell’ente rispetto alle vicende che riguardano il reato (la cui commissione la legge comunque presuppone) ed il suo autore persona fisica possono individuarsi, in linea generale, «nel fatto che il reato è stato commesso nell’interesse dell’ente o da esso l’ente ha comunque tratto un vantaggio e che, come emerge anche dalla relazione ministeriale al d.lgs. 231/01, il sistema così impostato consente di contenere gli effetti negativi di eventuali accorgimenti adottati da soggetti aventi struttura organizzativa interna complessa tali da rendere difficoltosa, se non impossibile, l’individuazione dell’autore del reato».

Considerando i contenuti della relazione ministeriale – prosegue la Corte – si rileva che «la riconosciuta autonomia tiene conto anche della possibilità di adozione di diverse strategie processuali da parte dell’ente e dell’autore del reato presupposto e che non sembra inoltre di ostacolo alla interpretazione prospettata nella sentenza 9072/2018 la circostanza che l’art. 8 in esame prenda in considerazione solo le cause di estinzione del reato e non anche le cause di esclusione della punibilità, poiché, come è stato da più parti osservato in dottrina, nella relazione ministeriale viene testualmente specificato: “è appena il caso di accennare al fatto che le cause di estinzione della pena (emblematici i casi grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest’ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all’ente, non escludendo la sussistenza di un reato. Se la responsabilità dell’ente presuppone comunque che un reato sia stato commesso, viceversa, non si è ritenuto utile specificare che la responsabilità dell’ente lascia permanere quella della persona fisica. Si tratta infatti di due illeciti, quello penale della persona fisica e quello amministrativo della persona giuridica, concettualmente distinti, talché una norma che ribadisse questo dato avrebbe avuto il sapore di un’affermazione di mero principio».

3. I giudici di legittimità proseguono osservando che, se pure si dovesse propendere per una interpretazione letterale dell’art. 8, «verrebbe da chiedersi come, in concreto, possa ritenersi applicabile l’art. 131-bis cod. pen. alle ipotesi di responsabilità degli enti di cui al d.lgs. 231/2001 ferma restando l’esclusione di ogni automatismo di cui si è già detto».

Un primo problema – si legge nella pronuncia – «lo pone la concreta natura della responsabilità degli enti disciplinata dal d.lgs. 231/2001, oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza del quale hanno dato conto le Sezioni Unite (Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, PG., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261115, cit.) considerando il sistema, come si è detto in precedenza, “un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus, se si vuole” valorizzando i contenuti della relazione ministeriale che come tale lo qualifica».

Nella relazione si osserva, infatti, che la responsabilità, prudentemente definita “amministrativa” dal legislatore delegante, in quanto “conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla L. 689 del 1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia“. Si tratta, quindi, di un sistema sostanzialmente differente, il quale rispetto alle diverse discipline dell’illecito penale e di quello amministrativo si pone in un rapporto di limitata permeabilità, dipendente dalle sue specifiche caratteristiche.

4. In conclusione, la Corte ha affermato il principio secondo cui «la eventuale declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del reato presupposto non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente, né ad esso può applicarsi la predetta causa di non punibilità».

Redazione Giurisprudenza Penale

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