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Sea Watch 3 (Carola Rackete): la richiesta di convalida dell’arresto e di applicazione di misura cautelare della Procura di Agrigento

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, richiesta di convalida dell’arresto e di applicazione di misura cautelare, 30 giugno 2019
Sostituto Procuratore della Repubblica G. Andreoli – Procuratore Aggiunto S. Vella

Al fine di una miglior comprensione della vicenda relativa alla Sea Watch 3, pubblichiamo – ringraziando la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento per averla messa a disposizione – la richiesta di convalida dell’arresto e di applicazione di misura cautelare avanzata nei confronti di Carlo Rackete.

Come abbiamo anticipato, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Agrigento, con ordinanza del 2 luglio 2019, ha rigettato sia la richiesta di convalida del provvedimento di arresto eseguito dalla Guardia di Finanza, sia la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento.

In punto di diritto, la Procura ha affrontato il tema relativo alla qualificazione giuridica di entrambe le fattispecie contestate (resistenza o violenza contro nave da guerra ex art. 1100 cod. nav. e resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p.).

Quanto alla prima, ad avviso della Procura «si evidenzia la sussistenza di entrambi gli elementi (oggettivo e soggettivo) della condotta, ritenendosi che la comandante della Sea Watch 3, con coscienza e volontà, abbia posto in essere atti di resistenza e violenza contro la nave da guerra nazionale vedetta V808 della Guardia di Finanza».

La condotta di resistenza – si legge nella richiesta – «deve ritenersi consistente nell’offesa alla sicurezza e alla disciplina della navigazione con riguardo alla polizia marittima ed allo jus imperi esercitato dallo Stato Italiano nelle proprie acque territoriali» da parte di Carola Rackete, la quale «dopo aver reiteratamente ricevuto l’ordine di fermare il moto della motonave Sea Watch 3, azionava comunque i motori di bordo indirizzando la rotta verso il porto commerciale di Lampedusa, pur non essendo autorizzata ad entrare ed essendo stata avvicinata dalla motovedetta V808 della Guardia di Finanza che cercava di indurla ad accostare in una direzione diversa dall’ingresso nel porto» senza effettuare «alcuna manovra per evitare la collisione tra le due unità, collisione che effettivamente si verificava mettendo in pericolo l’equipaggio della unità, nonché a rischio le condizioni di galleggiabilità della stessa nave da guerra».

Ad avviso della Procura sussisterebbe «la coscienza e volontà, da parte dell’indagata, di porre in essere atti di resistenza nei confronti della nave da guerra, essendo la Comandante della Sea Watch 3 pienamente consapevole dell’alt intimatole, della qualità di nave da guerra della V808 e del pericolo cui esponeva la suddetta unità della Guardia di Finanza e del suo equipaggio», dovendosi escludere che «la collisione sia frutto di causalità o conseguenza di negligenza o imperizia» né essendo stati rilevati «difetti di funzionamento nei sistemi di propulsione della Sea Watch 3 che, dopo il sequestro, è stata condotta senza alcun problema in un punto alla fonda fuori dal porto di Lampedusa».

La Procura si sofferma anche sulla qualificazione della nave della Guardia di Finanza quale “nave da guerra” non ritenendo applicabile l’art. 1080 cod. navigazione (ai sensi del quale “le disposizioni penali di questo codice non si applicano ai componenti dell’equipaggio  e ai passeggeri di nave o aeromobile stranieri, salvo che sia diversamente stabilito”) e richiamando, sul punto, uno specifico precedente del Tribunale di Agrigento nel quale una motovedetta della Guardia di Finanza era stata considerata una “nave da guerra”.

Quanto alla seconda fattispecie, la Procura l’ha ritenuta ugualmente sussistente avendo «Carola Rackete azionato i motori di bordo indirizzando la rotta verso il porto commerciale di Lampedusa ponendo, così, in essere atto di violenza per opporsi ad un pubblico ufficiale nel compimento di un atto d’ufficio».

A tale fattispecie – conclude la Procura – «non può applicarsi lo stato di necessità ex art. 54 c.p. atteso che la Sea Watch veniva costantemente monitorata ed assistita dalle Forze dell’Ordine nei giorni antecedenti all’arresto in flagranza di reato della Comandante. Pur ritenendo nobile e conforme ai principi di solidarietà e di umanità l’azione di salvataggio in mare di naufraghi della Sea Watch 3, che in relazione ai reati ipotizzati, per le concrete modalità di svolgimento del fatto, non poteva concretamente ritenersi configurabile l’attualità del pericolo di danno grave alla persona non altrimenti evitabile al momento del fatto, essendo state le situazioni di emergenza fronteggiate con forme di assistenza sanitaria a bordo e con sbarco a terra dei casi di pericolo di danno grave alla persona».

Redazione Giurisprudenza Penale

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