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“Movida” e responsabilità penale dei gestori

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 1 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. III, 2 luglio 2019 (ud. 9 maggio 2019), n. 28570
Presidente Lapalorcia, Relatore Cerroni

La presente pronuncia offre lo spunto per alcune interessanti riflessioni in merito ai presupposti entro cui può fondarsi la responsabilità penale in capo ai gestori di un locale pubblico nell’ipotesi di omesso impedimento degli schiamazzi degli avventori all’esterno del locale.

Come si può leggere, la Suprema Corte conferma la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Firenze, precisando, in particolare, che “risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (in specie, un locale di intrattenimento) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica (Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015, Gallo, Rv. 264501; Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008, Baruffaldi, Rv. 242808)”.

Detto altrimenti, “la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza (Sez. 1, n. 16686 del 28/03/2003, Massazza, Rv. 224802)”.

Ne consegue pertanto che “non può pertanto essere censurato il provvedimento, laddove in effetti è stato fatto carico ai gestori dell’esercizio commerciale di non avere fatto alcunché (o quantomeno nulla è stato neppure allegato in tal senso) per eliminare le fonti di disturbo, mai risultando ad es. una richiesta di intervento delle Autorità di polizia per limitare coloro che, in definitiva, colà si riunivano solamente per la presenza del locale pubblico. I cui gestori, per i quali la presenza degli avventori rappresentava ovviamente un guadagno, erano comunque tenuti appunto quantomeno in ossequio alla regola generalissima, in forza della quale cuius commoda, eius et incommoda”.

Ciò posto, dalla soluzione appena adottata potrebbe derivare (quale corollario) la conseguenza per cui ogni mancato esercizio del potere di controllo sul comportamento degli avventori del locale (anche all’esterno) sarebbe in astratto idoneo a configurare un’ipotesi di responsabilità in capo al gestore, il cui comportamento potrebbe (sempre in astratto) configurare gli estremi del reato ex art. 659 c.p.

Sennonché, non si può non notare che, in sede di motivazione, la presente sentenza richiama – tra le varie pronunce menzionate – un importante precedente datato 2003 (Cass. 16686/2003), le cui motivazioni contenevano un prezioso passaggio – spesso rimasto in sordina – in cui i Giudici di Legittimità riconoscevano che “può dar luogo a violazione dell’art. 659, comma primo, c.p. anche la condotta del titolare o gestore dell’esercizio pubblico – attività di per sé non rumorosa – il quale non impedisca, per quanto possibile, schiamazzi e rumori provocati dagli avventori e suscettibili di recare disturbo al vicinato” (cfr. Cass. 16686/2003).

Per quanto possibile“, puntualizzava quindi la Corte di Cassazione nel richiamato arresto del 2003; di conseguenza, secondo tale impostazione, il gestore di un pubblico esercizio può rispondere solamente nelle sole ipotesi in cui questi avrebbe concretamente (ossia, secondo le concrete possibilità a sua disposizione) potuto evitare il prodursi del disturbo e, ciò nonostante, non si sarebbe attivato in tal senso.

Restano, quindi, fuori dalla sfera applicativa dell’art. 659 c.p., tutte le fattispecie di disturbo alla quiete pubblica nelle quali il gestore si sia trovato sprovvisto di concreti strumenti risolutivi per interrompere gli schiamazzi.

Di conseguenza, secondo la lettura appena indicata – che pare pertinente al caso che ci occupa, dal momento che gli odierni imputati, secondo quanto emerso in dibattimento, non avrebbero mai richiesto neppure l’intervento delle Autorità di polizia per far cessare il disturbo – la responsabilità degli esercenti non si fonderebbe (apoditticamente)sulla scorta del mero e astratto mancato impedimento dei comportamenti rumorosi tenuti dai clienti.

Al contrario, ogni ipotesi di responsabilità in capo ai gestori potrà sussistere solamente a valle di un dettagliato vaglio di tutti gli elementi di fatto emersi in sede dibattimentale che avrebbero concretamente reso possibile un intervento risolutore dei gestori, i quali, pur di fronte a tali scenari, sono rimasti inerti.

Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Miglio, “Movida” e responsabilità penale dei gestori, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 1