ARTICOLIDIRITTO PENALETesi di laurea

Antiriciclaggio e criptovalute (Tesi di Master)

Ateneo: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Master in Diritto Penale d’Impresa

Anno accademico: 2018/2019

L’elaborato si propone l’obiettivo di analizzare le caratteristiche della disciplina antiriciclaggio – sia dal punto di vista della prevenzione che della repressione – e le criticità nascenti dall’utilizzo delle criptovalute. Esso rappresenta il lavoro conclusivo svolto al termine del Master in Diritto Penale dell’Impresa, tenuto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Una corretta interpretazione del fenomeno richiede, in primo luogo, la comprensione della natura delle criptovalute e del loro inquadramento dal punto di vista giuridico. Giova premettere sin da ora che risulta impossibile una trattazione esaustiva e specifica di ogni criptovaluta, in quanto ciascuna di esse ha delle peculiarità che la rende differente dalle altre. La più nota, diffusa e notevolmente più capitalizzata attualmente è il bitcoin, che, pertanto, può essere preso come punto di riferimento per l’analisi del fenomeno.

Benché le strade battute in dottrina e giurisprudenza non abbiano condotto a risultati univoci, è opportuno anticipare che nel presente elaborato si condivide la tesi secondo la quale le criptovalute debbano essere considerate quali beni immateriali. L’obiezione posta da parte della dottrina avverso tale inquadramento aveva le sue radici nella c.d. “teoria formalistica”, secondo la quale, affinché possa parlarsi di beni, occorre una qualificazione giuridica che faccia acquisire loro rilevanza per il diritto. Sembra aver fugato i dubbi, circa il superamento di tale critica, la definizione legislativa di “valute virtuali” di cui  all’art. 1, comma 2, lett. qq) del D.lgs. 231/2007 (introdotta dal D.lgs. 90/2017), come affermato anche dal Tribunale di Firenze (Sez. Fallimentare, sentenza 21 febbraio 2019, n. 18). Il superamento di tale obiezione consente, quindi, di ricomprendere le criptovalute nell’alveo dei beni ex art. 810 c.c., orientandosi sulle stesse posizioni su cui si sono collocati il legislatore giapponese con il Virtual Currency Act e lo Stato di New York con la normativa c.d. Bitlicence.

Nella trattazione della disciplina antiriciclaggio, l’elaborato tiene conto delle novelle legislative più recenti. Dal punto di vista della “prevenzione”, infatti, il legislatore italiano aveva già anticipato – con il D.lgs. 90/2017 in recepimento della IV Direttiva antiriciclaggio (2015/849/UE) – la definizione di “valuta virtuale” poi contenuta nella V Direttiva antiriciclaggio (2018/843/UE), estendendo gli obblighi di adeguata verifica della clientela, conservazione e segnalazione delle operazioni sospette anche ai c.d. exchanger (cambiavalute o, come definiti dal D.lgs. 231/2007, “prestatori di servizi relativi all’utilizzo della valuta virtuale”). Il legislatore, tuttavia, non aveva tenuto conto dei gestori di portafogli digitali, c.d. wallet provider, provvedendo a colmare tale lacuna soltanto con il D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125.

Dal punto di vista descrittivo del fenomeno di riciclaggio, accanto alla classica distinzione del modello “tripartito” di placement, layering ed integration, occorre proporre la distinzione tra “riciclaggio digitale strumentale” e “riciclaggio digitale integrale”. Si parla di riciclaggio digitale strumentale quando i proventi illeciti da “ripulire” sono offline, mentre il riciclaggio è digitale integrale quando i proventi illeciti sono già online.

Da un’attenta disamina delle condotte di riciclaggio digitale strumentale appare evidente che queste non creino problemi particolari di compatibilità con le norme penalistiche. Il soggetto agente che compia uno dei reati di cui agli articoli 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 c.p. riciclerà o impiegherà beni, denaro o altre utilità nell’acquisto di criptovalute: è difficile – per le ragioni esposte nell’elaborato – ipotizzare che la compravendita di criptovalute esuli dall’applicazione di tali fattispecie.

Maggiormente problematico è il riciclaggio digitale integrale, il quale non crea difficoltà applicative per la condotta di impiego di criptovalute di provenienza illecita ex art. 648-ter c.p. – non richiedendo un ostacolo alla provenienza delittuosa – in attività economiche o finanziarie, ad esempio quando le criptovalute siano utilizzate per la partecipazione ad ICO.

Alcune perplessità, in proposito, sorgono con riferimento alle condotte di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. ed autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 c.p. I proventi sono già online e non può considerarsi tout court qualsiasi operazione idonea ad ostacolare (concretamente, nel caso dell’autoriciclaggio) la provenienza delittuosa. Non può sottacersi il fatto che la blockchain – per le criptovalute che si basano su questa tecnologia – è pubblica e traccia tutte le operazioni compiute tra le “chiavi pubbliche” degli operanti, pertanto non vi è sempre un ostacolo alla provenienza delittuosa. L’unico ostacolo che può ravvisarsi riguarda l’identità del soggetto agente (che nel caso dell’autoriciclaggio è anche autore del reato presupposto, con relativa necessità di tutela del nemo tenetur se detegere), ma l’anonimato (o pseudo-anonimato) è una caratteristica che afferisce – appunto – al soggetto agente e non alla condotta in sé considerata.

Qualora, quindi, le operazioni compiute con criptovalute si ritenessero sempre idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa, in virtù dell’anonimato del soggetto al quale tali operazioni sono riferibili, si trasformerebbero delle fattispecie di pericolo concreto in fattispecie di pericolo astratto. Da tale modo di argomentare devono escludersi quelle ipotesi in cui il soggetto agente utilizzi particolari tecniche dissimulatorie, quali i servizi di c.d. mixing.

In conclusione, occorrerà verificare se il legislatore riterrà opportuno procedere ad una modifica delle disposizioni normative, in recepimento della Direttiva 2018/1673/UE avente ad oggetto la lotta al riciclaggio mediante il diritto penale. Il Considerando n. 6 di quest’ultima, infatti, fa riferimento espressamente all’utilizzo di “valute virtuali”, le quali presentano “nuovi rischi e sfide nella prospettiva della lotta al riciclaggio”, richiedendo agli Stati membri dell’Unione Europea di affrontare in modo adeguato tali rischi. Una sfida di questo tipo richiede la partecipazione del maggior numero possibile di ordinamenti nazionali, in modo da evitare che Stati con presidi antiriciclaggio inesistenti o insufficienti minino il complessivo reticolato normativo predisposto.