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Divieto di prevalenza delle attenuanti e spaccio di lieve entità dopo l’intervento della Corte Costituzionale

Cassazione Penale, Sez. VI, 20 gennaio 2014 (ud. 15 ottobre 2013), n. 2295
Presidente Milo, Relatore Paoloni, P. G. Viola

Depositata ieri la sentenza numero 2295 della sesta sezione penale della Suprema Corte relativa al divieto di prevalenza delle attenuanti nel giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato per i fatti di spaccio di “lieve entità” a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale numero 251 del 2012.

Questi, brevemente, i fatti: l’imputato veniva condannato per la vendita di una dose di cocaina alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 18.000 di multa previa concessione della attenuante del fatto di lieve entità ex art. 73 comma 5 dpr 309/90 considerata equivalente alla contestata recidiva qualificata ex art. 99 c.p., comma 4 (erano ben sette i precedenti penali per reati in materia di stupefacenti), in virtù del divieto di prevalenza (vigente all’epoca dei fatti) delle circostanze attenuanti sancito dall’art. 69 c.p., comma 4 (come sostituito dalla L. n. 251 del 2005) per gli imputati attinti da recidiva reiterata.
In appello la sentenza di primo grado veniva confermata nonostante l’istanza difensiva di differimento della discussione in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità dell’art. 69 c.p., comma 4 connessa a fatti reato qualificabili ex art. 73, comma 5 dpr 309/90.
L’imputato proponeva allora ricorso per Cassazione lamentandosi del mancato accoglimento dell’istanza di rinvio del difensore in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale; questione che il giudice delle leggi ha poi deciso (con sentenza Corte Cost. n. 251/2012 del 5 novembre 2012, di cui a fondo pagina è disponibile il download), dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 c.p., comma 4 nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5 dpr 309/90 sulle aggravanti e sulla recidiva. La Corte di Appello, secondo il ricorrente, avrebbe potuto e dovuto, stante la palese minima offensività del contegno antigiuridico dell’imputato, determinare, anche mantenendo fermo il giudizio di significatività della recidiva, la pena in misura ben inferiore rispetto a quella inflitta al ricorrente.

La sesta sezione penale ha ritenuto il motivo fondato.
A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 251/2012 – osservano, infatti, i giudici di legittimità – è stato espunto dall’ordinamento il divieto di prevalenza delle attenuanti nel giudizio di bilanciamento comparativo delle circostanze del reato per i fatti definibili di piccolo spaccio di droga.
Il giudice delle leggi – prosegue la Corte – è pervenuto alla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 c.p., comma 4, valutando il divieto di prevalenza dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità sulla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4 irragionevole e lesivo dei principi di uguaglianza davanti alla legge e di proporzionalità della pena ed evidenziando come la recidiva reiterata rifletta i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, che – pur pertinenti al reato – non assumono nella individualizzazione della pena una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo, operando il principio di offensività non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti influenti sulla pena e sulla sua finale determinazione.
Nel caso di specie,  l’abrogato divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5 dpr 309/90 sulla recidiva qualificata (vigente all’epoca dell’impugnata decisione di appello) ha inciso in consistente misura sulla pena detentiva (quattro anni di reclusione) inflitta all’imputato per un episodio criminoso (vendita di una sola dose di cocaina) di cui le stesse sentenze di condanna di merito hanno messo in evidenza la limitata gravità e offensività, tanto da inquadrarlo nella casistica della “lieve entità“.
La pronuncia della Consulta impone, in conclusione, l’annullamento in parte qua dell’impugnata sentenza di appello con rinvio ad altra sezione della stessa Corte territoriale per un nuovo giudizio in punto di trattamento sanzionatorio applicabile al ricorrente.

In conclusione i giudici, come prevedibile, fanno riferimento al recentissimo decreto legge n. 146/2013 che, come già anticipato nei giorni scorsi, ha modificato l’art. 73, comma 5 dpr 309/90 qualificando i fatti riconducibili nell’area della lieve entità come fattispecie autonoma di reato e non più come circostanza attenuante speciale: il legislatore di urgenza, intervenuto – tra l’altro – anche sulla pena detentiva edittale massima della fattispecie ex art. 73 L.S. (ridotta da sei a cinque anni di reclusione), ha inteso risolvere in radice ogni possibile questione interpretativa in tema di bilanciamento delle circostanze (attenuanti e aggravanti) connotanti il “nuovo” reato, essendo evidente che la qualificazione della fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5 dpr 309/90 come autonoma ipotesi di reato (e non più come circostanza attenuante) rende inapplicabili i criteri di bilanciamento dell’art. 69 c.p., comma 4 anche ad altre eventuali circostanze (attenuanti o aggravanti) che caratterizzino la nuova fattispecie.

Redazione Giurisprudenza Penale

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