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Le nuove false comunicazioni sociali: il rimedio peggiore del male?

La L. 69/2015 ha completamente riscritto le fattispecie di false comunicazioni sociali previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c., con una netta differenziazione di disciplina tra società quotate e non quotate e con i molteplici punti di criticità, soprattutto con riferimento al bene giuridico tutelato, che suscita la disposizione di cui all’art. 2621 ter c.c.

Nonostante i buoni propositi del Legislatore, mosso dal lodevole intento di ripristinare la punibilità del falso in bilancio ritenuto “atto necessario che mira a garantire il rispetto delle regole di trasparenza e a favorire la libera concorrenza”, il novum legislativo appare intriso di incertezze interpretative destinate a riverberarsi inevitabilmente in fase applicativa.

Inoltre, l’espunzione dal testo normativo della locuzione “ancorché oggetto di valutazioni”, riferita ai “fatti materiali” sembra, come si evince dalle prime pronunce di legittimità, escludere le valutazioni dall’oggetto della fattispecie con pesanti risvolti di ineffettività delle nuove norme.

Eppure, verrebbe da dire mutuando una celebre formula giurisprudenziale, il Legislatore “non poteva non sapere” le implicazioni che una costruzione di tal fatta avrebbe comportato: ed infatti, come facilmente prevedibile, già si contrappongono due orientamenti dottrinali, l’uno volto a confermare l’inclusione – rectius rilevanza – delle valutazioni nel fuoco della fattispecie, l’altro che sembra escluderlo categoricamente.

Per una breve analisi di una delle prime pronunce sul tema, si rinvia a Falso in bilancio e rilevanza delle valutazioni: depositate le motivazioni della sentenza Crespi 33774/2015.