ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione: il feto, durante il travaglio, rientra nel concetto di “uomo”

Cassazione Penale, Sez. IV, 20 giugno 2019 (ud. 30 gennaio 2019), n. 27539
Presidente Piccialli, Relatore Esposito

1. Chiamata a pronunciarsi su un ricorso avverso una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 589 c.p. nei confronti di un’ostetrica, la quarta sezione della Corte di Cassazione si è soffermata sui criteri distintivi tra le fattispecie di omicidio (doloso e colposo ex artt. 575 e 589 c.p.), infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (art. 578 c.p.) e procurato aborto (artt. 17 e ss. L. 194/1978) prendendo posizione, in particolare, sulla possibilità di far rientrare nella nozione di “uomo”  – quale soggetto passivo dei reati di omicidio – anche il feto.

La difesa ricorreva per Cassazione lamentando, tra i vari motivi, l’errata qualificazione giuridica della fattispecie delittuosa ascritta all’imputata quale omicidio colposo ex art. 589 c.p. in luogo del reato di aborto colposo di cui all’art. 17 L. n. 194 del 1978 e chiedendo, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 589 cod. pen. per violazione degli artt. 25, comma secondo, 117 Cost. e 7 CEDU.

Osservava, in particolare, il ricorrente che, in ragione delle più recenti evoluzioni culturali e giurisprudenziali in tema di status e tutela del prodotto del concepimento, l’art. 589 c.p. violerebbe i principi di tassatività, frammentarietà e sufficiente determinatezza della fattispecie penale, non fornendo un’accezione univoca dei concetto di “persona”, eventualmente escludendo o includendo in detta accezione anche il feto umano. A sostegno di tale affermazione veniva richiamato il reato di cui all’art. 578 c.p. (infanticidio in condizioni di abbandono morale o materiale), il quale «distingue e non equipara affatto le ipotesi di “morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto” o del “feto durante il parto”», ricavando da ciò che la «portata punitiva degli artt. 575 e 589 c.p. non potrebbe essere estesa anche alle ipotesi di morte del nascituro nella fase finale della gravidanza, non potendo sostenersi che l’estensione ermeneutica di tali disposizioni incriminatrici alla condotta soppressiva del feto eviterebbe esiti paradossali, consistenti nella mancata punizione dei casi di soppressione del feto nei casi di fatto commesso per motivazioni diverse e meno comprensibili di quelle previste dall’art. 578 cod. pen. La morte del feto, infatti, può agevolmente essere inquadrata tra le ipotesi previste dagli artt. 17 e ss. L. n. 194 del 1978, fatta salva l’ipotesi particolare prevista dall’art. 578 c.p.»

2. La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato.

Ad avviso dei supremi giudici, al fine di delimitare l’ambito di applicazione dell’art. 589 c.p. «deve escludersi ogni valenza al prospettato paragone con la disposizione di cui all’art. 578 c.p., la quale si ricollega ad una situazione particolare – l’assenza delle condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto – che rappresenta un elemento specializzante dell’infanticidio rispetto all’omicidio: la madre, la quale cagiona la morte del prodotto del suo concepimento, durante il parto, immediatamente dopo o, comunque, in ogni tempo successivo commette il reato di omicidio».

I giudici proseguono osservando che «la condotta di procurato aborto, prevista dall’art. 19 L. 22 maggio 1978, n. 194, si realizza in un momento precedente il distacco del feto dall’utero materno; la condotta prevista dall’art. 578 cod. pen. si realizza invece dal momento del distacco del feto dall’utero materno, durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un neonato». Di conseguenza – continua la Corte – «qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno, il fatto, in assenza dell’elemento specializzante delle condizioni di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall’art. 578 cod. pen., configura il delitto di omicidio volontario di cui agli artt. 575 e 577, n. 1, cod. pen.».

I reato di omicidio e di infanticidio-feticidio «tutelano lo stesso bene giuridico, e cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 cod. pen. – «cagiona la morte» – identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto evidentemente «si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo». Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché «la morte è l’opposto della vita», essendosi in presenza di due reati che vigilano sul bene della vita umana fin dal suo momento iniziale.

Con la locuzione «durante il parto» – si legge nella decisione – «l’art. 578 cod. pen. specifica cosa sia da comprendere nel concetto di «uomo» quale soggetto passivo del reato di cui all’art. 575 cod. pen., in cui deve essere incluso anche il «feto nascente: prima di detto limite la vita del prodotto del concepimento è tutelata da altro reato, il procurato aborto. Non deve confondere l’utilizzo del termine feto, nel dettato normativo dell’art. 578 cod. pen., ivi «usato impropriamente, perché il nascente vivo non è più feto, né in senso biologico, né in senso giuridico, bensì persona» e così se «in un parto, naturalmente o provocatamente immaturo», il nascente è «un essere vivo, la sua uccisione volontaria costituisce omicidio, o feticidio, qualunque sia stata la durata della gestazione». Ne deriva che «in caso di parto indotto prematuramente e fuori dalle modalità consentite dalla legge, che si concluda con la morte del prodotto del concepimento (sia esso feto o neonato), nella conclamata assenza di ogni elemento specializzante, e fermo il principio irrinunciabile secondo cui la tutela della vita non può soffrire lacune, l’illecito commesso sarà un omicidio o un procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di vita autonoma o meno».

Né – prosegue la Corte – «deve fuorviare, nella demarcazione dell’ambito applicativo degli illeciti, il termine «aborto» ancora solitamente utilizzato dalla giurisprudenza. Se è vero che nella scienza medica si intende per aborto l’interruzione spontanea o artificiale della gravidanza in un periodo in cui il feto non è ancora vitale per l’insufficienza del suo sviluppo (prima del suo 180° giorno), secondo la nozione giuridica penale l’aborto è ogni interruzione del processo fisiologico della gravidanza con la conseguente morte del feto, tant’è che il legislatore utilizza per il reato in questione la più neutra formula «interruzione della gravidanza».

D’altronde, secondo l’unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza – continua la Corte – «in tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina».

3. Tale disciplina – si legge nella decisione – «appare priva di profili di incostituzionalità, innestandosi in un quadro normativo e giurisprudenziale italiano ed internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all’embrione (vedi, su tale ultimo punto, Corte Cast. n. 229 del 2015; Corte Edu, Parrillo c. Italia del 27 agosto 2015)».

Alla luce di tale ricostruzione del rapporto tra le fattispecie criminose previste dagli artt. 575 e 578 cod. pen. – conclude la decisione – «l’inclusione dell’uccisione del feto nell’ambito dell’omicidio non comporta una non consentita analogia in malam partem, bensì una mera interpretazione estensiva, legittima anche in relazione alle norme penali incriminatrici».

L’enunciazione della nozione di “uomo” quale vittima del reato in esame «sebbene generica, consente al giudice, avuto riguardo anche alla finalità di incriminazione ed al contesto ordinamentale sopra descritto in cui si colloca, di stabilire con precisione il significato della parola, che isolatamente considerate potrebbe anche apparire non specifica, ed al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo di essa. D’altronde, a voler ragionare diversamente, alla naturale e fisiologica conclusione della gravidanza il feto nascente sarebbe assurdamente tutelato, contro i fatti lesivi della vita individuale, solo nel caso di morte cagionata nelle predette condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto e la mancanza di tale elemento specializzante comporterebbe un inaccettabile vuoto di tutela, stante l’impossibilità di applicare tanto il procurato aborto quanto l’omicidio».

Redazione Giurisprudenza Penale

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