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La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di nesso causale tra esposizione ad asbesto e decesso per mesotelioma pleurico, confermando l’orientamento prevalente.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cassazione Penale, Sez. IV, Sent. 15 aprile 2020 (Ud. 30 gennaio 2020), n. 12151
Presidente Di Salvo, Relatore Nardin

Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sul tema del nesso causale per fatti di omicidio colposo derivanti da esposizione di lavoratori ad amianto, deceduti per effetto di mesotelioma pleurico.

La pronuncia è di interesse perché – sotto certi aspetti – si pone in continuità interpretativa con l’orientamento ormai dominante sul tema, da ultimo espresso con la nota sentenza Olivetti (pubblicata in questa Rivista, ivi).

Il Supremo Collegio, infatti, ha riconosciuto l’assenza di vizi in capo alla sentenza impugnata, secondo cui, per l’accertamento del nesso causale tra esposizione ad asbesto nei luoghi di lavoro (a sua volta riconducibile ad una condotta omissiva del datore di lavoro) e l’evento morte dovuto all’insorgenza del mesotelioma:

– deve escludersi la possibilità di ricorrere all’accertamento in termini meramente probabilistici, essendo invece necessario procedere alla ricostruzione di uno specifico nesso tra singola condotta/esposizione e singolo evento/morte, secondo i canoni della cd. causalità individuale;

– va, inoltre, individuata una legge scientifica di copertura, che colleghi causalmente la condotta all’evento, cui va affiancato un giudizio di cd. probabilità logica, nell’ambito del quale devono essere considerati ed esclusi fattori causali alternativi alla condotta;

– non è giuridicamente accettabile la teoria dell’effetto acceleratore, secondo cui ogni esposizione nel tempo avrebbe una efficacia causale rispetto all’insorgenza della patologia e alla rapidità di evoluzione del processo cancerogenetico, poiché essa non può considerarsi una legge scientifica di copertura condivisa dalla dottrina medica;

– in questo modo, dovendosi ritenere irrilevante ogni esposizione successiva al momento di innesco irreversibile della malattia e rimanendo quest’ultimo per lo più impossibile da accertare, ai fini del riconoscimento della responsabilità dell’imputato è necessaria l’integrale o quasi integrale sovrapposizione temporale tra la durata dell’attività lavorativa della singola vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dall’imputato nei confronti della stessa.

Solo a queste condizioni, dunque, può ritenersi accertato il nesso di causa in questo specifico tipo di decessi di natura professionale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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