ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione sulla distinzione tra i reati di millantato credito, traffico di influenze illecite e truffa.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. VI, Sent. 12 luglio 2021 (ud. 8 giugno 2021), n. 26437
Presidente Fidelbo, Relatore Criscuolo

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione sesta, si è pronunciata sugli elementi costitutivi del reato di millantato credito (la cui norma incriminatrice è oggi abrogata), e sulla possibilità che (i.) la medesima condotta sia oggi riqualificata come traffico di influenze illecite (la cui norma incriminatrice è stata recentemente riformulata), (ii.) condotte simili, ancorché non perfettamente aderenti all’una o all’altra delle due fattispecie richiamate, possano essere qualificate alla stregua del reato di truffa.

Anzitutto, occorre dar conto che il ricorrente era stato condannato per il reato di millantato credito, perché, falsamente attribuitosi la qualifica di diacono della Chiesa cattolica, si era fatto consegnare da un soggetto una somma di denaro come prezzo della propria mediazione nei confronti di pubblici ufficiali di stato estero (segnatamente, la Santa Sede), verso i quali millantava credito, pur non avendoli mai indicati quali destinatari delle dazioni illecite, prospettando di poter influire su di loro per agevolare tale soggetto nell’iscrizione ad una specifica facoltà universitaria, superando l’ostacolo del numero chiuso. All’esito dell’istruttoria dibattimentale era emerso in modo evidente che non vi era alcun elemento per ritenere realmente esistenti le relazioni con pubblici ufficiali, accampate dall’imputato.

La Corte ha anzitutto sgombrato il campo da ogni possibile dubbio in merito al rapporto tra il reato di millantato credito (art. 346 c.p., abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti) e quello di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p., introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, cd. Legge Severino, e riformulato dalla stessa Spazzacorrotti).

Sul punto, la Corte ha affermato che “in relazione alla condotta di chi, vantando un’influenza – effettiva o soltanto asserita – presso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, si faccia dare denaro o altre utilità come prezzo della propria mediazione, sussiste piena continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen.(…) e la fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen. (…). Infatti, l’art. 346-bis cod. pen., riformulato dalla I. n. 3 del 9 gennaio 2019, sanziona le medesime condotte già contemplate dall’art. 346 cod. pen. abrogato; in particolare, la nuova norma punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali, di natura economica o meno, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, indipendentemente dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo, a condizione – oggetto di un’espressa clausola di riserva (…) – che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, altrimenti ricorrendo una delle ipotesi di corruzione” (sui rapporti tra millantato credito, traffico di influenze illecite e corruzione, si vedano Cass., Sez. VI, n. 23602/20, nonché i contributi di S. Metrangolo e S. Treglia).

Tuttavia, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie il reato contestato non fosse configurabile “per altro, diverso profilo ovvero per l’assoluta indeterminatezza e genericità dell’indicazione dei pubblici ufficiali presso i quali l’imputato millantava credito (il querelante aveva riportato che le millanterie dell’imputato erano del seguente tenore: ‘aveva agganci presso la Santa Sede’, ‘millantava conoscenze con una persona influente del Vaticano’)”.

I Giudici hanno rilevato che nel caso di specie l’indicazione fosse “talmente generica da non rendere neppure certo il riferimento ad un pubblico ufficiale o ad un funzionario né chiaro il tipo di mansioni svolte”.

In conseguenza di ciò, “pur non essendo indispensabile per la configurabilità del reato l’indicazione nominativa o l’identificazione del pubblico ufficiale, in quanto l’interesse primario tutelato dalla norma è il prestigio della pubblica amministrazione, che è offeso quando un suo organo, anche se non specificamente indicato, viene fatto apparire come corrotto o corruttibile o quando la sua attività funzionale viene fatta apparire come ispirata a caratteri incompatibili con quelli di imparzialità o correttezza cui la pubblica amministrazione deve ispirarsi”, la Corte ha ritenuto che “tale indeterminatezza rileva in quanto l’incertezza cade su un elemento essenziale della fattispecie, specialmente in ragione del coinvolgimento nella vicenda di funzionari di uno stato estero, atteso che in tal caso deve procedersi, anche d’ufficio, all’accertamento delle norme di diritto straniero utili al fine di stabilire se il funzionario coinvolto svolga funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha escluso la configurabilità del reato di millantato credito, la Corte ha concluso che “il fatto va correttamente qualificato come truffa, ricorrendone tutti gli elementi costituivi ed in particolare, la peculiarità del raggiro, caratterizzato da vanterie, esplicite od implicite, di ingerenze e pressioni esercitabili dal millantatore nei confronti del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nonché la stessa falsa qualità attribuitasi [dall’imputato], presentatosi come diacono, per rendere più credibile la propria mediazione ed ottenere l’illecito vantaggio patrimoniale conseguito con corrispondente danno subito dalla vittima”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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