ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALE

È applicabile il ne bis in idem al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, qualora il fatto, ancorché riferito a fatture diverse, riguardi la medesima dichiarazione.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. III, Sent. 22 luglio 2021 (ud. 27 maggio 2021), n. 28437
Presidente Di Nicola, Relatore Corbetta

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, si è pronunciata in merito alla applicabilità del principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.) con riguardo alla fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

L’imputato era stato definitivamente condannato per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti in relazione all’anno di imposta del 2014, poiché, in qualità di legale rappresentante della propria ditta, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, annotava nella contabilità, avvalendosene nella dichiarazione IVA, 866 fatture per operazioni inesistenti.

D’altro canto, nel processo relativo alla sentenza in esame, all’imputato era contestata la medesima fattispecie in relazione a fatture inesistenti, diverse da quelle contestate nel primo processo, eppure riferite alla medesima dichiarazione (IVA 2014).

Ad avviso della Corte territoriale, nel caso di specie non sussisterebbe alcuna preclusione processuale ai sensi dell’art. 649 c.p.p., atteso che le fatture in contestazione nel secondo processo erano altre e diverse rispetto a quelle oggetto del primo processo. A supporto di tale conclusione, la Corte di merito ha richiamato il principio secondo cui “ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta”.

La Corte di legittimità si è invece mostrata di opposto avvisto.

Anzitutto, hanno chiarito i Giudici, “i principi sopra richiamati, che concorrono a definire la nozione di identità del fatto, devono essere adattati in relazione alla singola fattispecie di reato, tenendo conto della sua struttura e della sua conformazione, essendo evidente, ad esempio, che, in relazione ai reati di mera condotta, come quello in esame, ai fini della valutazione dell’identità del fatto non vengono in rilievo l’evento e il nesso causale, proprio perché, in tal caso, l’illecito penale si esaurisce nella realizzazione del comportamento vietato secondo le modalità descritte dalla norma incriminatrice”.

Svolgendo tale opera di adattamento con riguardo al delitto ex art. 2, la Corte ha rilevato che “La norma prevede una duplice condotta: la prima, di natura propedeutica, consiste nell’acquisizione di fatture o di documenti equivalenti per operazioni inesistenti e nella successiva loro registrazione o conservazione a fini di prova; la seconda, che segna la consumazione del reato, si realizza nella presentazione di una dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o dell’IVA in cui vengano indicati ‘elementi passivi fittizi’ che trovino appunto un supporto nelle fatture per operazioni inesistenti o in altri documenti equivalenti”.

I Giudici hanno così ritenuto che “Non può esservi quindi dubbio sul fatto che tale previsione (…) ha focalizzato (come reso esplicito dal testuale richiamo alla ‘indicazione’ in dichiarazione degli elementi passivi quale momento culminante ed indefettibile della condotta illecita) il momento consumativo del reato sulla stretta condotta della presentazione della dichiarazione stessa”. Per conseguenza, “il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione e non già nel momento in cui detti documenti vengano registrati in contabilità, sicché, se la dichiarazione è unica, unico è il reato commesso pur se i documenti utilizzati siano plurimi o abbiano diversi destinatari”.

Sulla scorta di tali argomenti, la Corte ha affermato che “la diversità di documenti utilizzati per aumentare i costi, allorché la dichiarazione sia unica e relativa allo stesso periodo d’imposta, non giustifica l’affermazione di responsabilità per due reati diversi”.

La Corte ha così riconosciuto l’applicabilità del principio del ne bis in idem, qualora il fatto, ancorché relativo a fatture diverse, riguardi la medesima dichiarazione fiscale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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