ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

La Cassazione si pronuncia sulla configurabilità della causa di non punibilità della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale (art. 393-bis c.p.)

Cassazione Penale, Sez. VI, 1 marzo 2022 (ud. 26 novembre 2021), n. 7255
Presidente Fidelbo, Relatore Silvestri

Segnaliamo la sentenza con cui la sesta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis c.p. (secondo cui «non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 339 bis, 341 bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni»).

È noto – si legge nella decisione – «come il profilo maggiormente problematico della causa di non punibilità prevista dall’art. 393 bis cod. pen. riguarda storicamente il concetto di “atto arbitrario”, che costituisce la modalità con la quale il pubblico funzionario deve eccedere le proprie competenze per rendere legittima l’altrui reazione».

Secondo un primo consolidato orientamento di legittimità, «cui aderisce anche parte della dottrina, l’eccesso arbitrario non si esaurisce nella mera illegittimità dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale, ma richiede un elemento ulteriore, soggettivamente caratterizzante il suo agire; l’atto, per potersi definire “arbitrario”, deve manifestare malanimo, capriccio, settarietà, prepotenza, sopruso ed altri simili motivi e, comunque, esprimere il consapevole travalicamento da parte del pubblico ufficiale dei limiti e delle modalità entro cui le pubbliche funzioni debbono essere esercitate. Se il legislatore, si sostiene, avesse voluto ancorare l’istituto alla sola, oggettiva contrarietà dell’atto all’ordinamento, non avrebbe inserito il riferimento agli “atti arbitrari”, ribadito, peraltro, in più occasioni; la locuzione, infatti, sarebbe stata del tutto pleonastica, se non addirittura tautologica, se l’analisi avesse dovuto essere limitata soltanto al profilo dell’illegittimità dell’atto».

Da altra parte della giurisprudenza di legittimità si è, tuttavia, sottolineato come «pur nell’ambito della ricostruzione strettamente soggettiva dell’istituto, sarebbe scriminata la reazione del privato all’atto dei pubblici agenti quando questi sia realizzato con modalità non consentite dalla legge, perché provocatorie, oppure quello costituente reato (ingiurie, minacce, percosse, ecc.), oppure ancora, all’atto contrario alle norme elementari dell’educazione e del costume sociale; si tratta di una impostazione che, da una parte, recepisce l’indirizzo maggioritario di cui si è detto – che impone di non fermarsi alla mera illegittimità dell’atto- ma, dall’altra, tende a riempire quei vuoti di tutela che una lettura troppo soggettivista comporterebbe, pure a fronte di condotte avvertite come arbitrarie dalla coscienza sociale».

Recependo i principi elaborati dalla Corte Costituzionale, «è stato anche affermato, in maniera condivisibile, che l’esimente della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale è integrata ogni qual volta la condotta di questi, per lo sviamento dell’esercizio di autorità rispetto allo scopo per cui la stessa è conferita o per le modalità di attuazione, risulta oggettivamente illegittima, non essendo di contro necessario che il soggetto abbia consapevolezza dell’illiceità della propria condotta diretta a commettere un arbitrio in danno del privato. Si tratta di una impostazione condivisibile perché, nell’ambito di una lettura oggettivistica e costituzionalmente orientata della norma – che trova il proprio fondamento nei principi affermati con chiarezza dalla Corte costituzionale – si distanzia dallo schema e dalla interpretazione tradizionali: la reazione può dirsi giustificata a fronte di un atto oggettivamente illegittimo, in quanto compiuto, anche solo per modalità di attuazione, in maniera sfunzionale rispetto al fine per cui il potere è conferito, cioè con sviamento dell’esercizio dell’autorità rispetto allo scopo perseguito».

Redazione Giurisprudenza Penale

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