ARTICOLIDelitti contro il patrimonioDIRITTO PENALEParte speciale

Concessione in locazione di un immobile (senza registrazione del contratto) e rifiuto, da parte dell’inquilino, di lasciare l’appartamento: la sottrazione degli infissi dalla abitazione (per renderla inabitabile ed ottenere il suo rilascio) non costituisce furto

Cassazione Penale, Sez, IV, 9 giugno 2022 (ud. 1 marzo 2022), n. 21846
Presidente Ciampi, Relatore Bruno

Segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui la Corte di cassazione si è pronunciata sulla configurabilità del reato di furto in capo al proprietario che, dopo aver concesso in locazione un immobile (senza registrazione del contratto) e a seguito del rifiuto, da parte dell’inquilino, di lasciare l’appartamento, abbia sottratto dallo stesso gli infissi allo scopo di renderlo inabitabile ottenendo, in tal modo, il suo rilascio.

In punto di diritto, secondo la Corte di Appello – che aveva ritenuto configurabile il furto – «la proprietà del bene in capo all’autore del fatto non sarebbe elemento dirimente al fine di escludere il reato di furto: il bene giuridico protetto dal delitto di furto, infatti, sarebbe individuabile non solo nella proprietà, ma anche nel semplice possesso, a prescindere dalla esistenza di uno specifico titolo giuridico».

La Corte di cassazione, diversamente, ha escluso che la sottrazione della res di proprietà dell’autore possa configurare la fattispecie di furto: «le Sezioni unite “Sciuscio”, nel 2013, hanno osservato che l’evocazione dell’altruità del bene vale ad escludere la rilevanza penale della sottrazione della res propria. Tale soluzione di un tema classicamente controverso trova, peraltro, conforto anche nell’art. 627 c.p. che punisce la sottrazione di cosa comune con una pena più lieve di quella prevista per il reato di furto di cui all’art. 624 c.p.; e sarebbe irrazionale punire con la più severa sanzione prevista da tale ultima fattispecie una condotta sicuramente meno grave, costituita dalla sottrazione compiuta da chi ha la piena proprietà della cosa».

In questo caso, «l’avvenuta sottrazione deve essere inquadrata nel più ampio contesto in cui venne a realizzarsi il fatto, tenendo conto che la reale intenzione del ricorrente, all’atto dello spoglio, era quella di rendere inabitabile l’appartamento, ottenendo, in tal modo, il suo rilascio. Vengono, dunque, in rilievo diverse fattispecie concrete di cui si è occupata questa Corte in varie pronunce assimilabili al caso in esame, nelle quali è stata individuata la ricorrenza della fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.)».

Quanto alla possibilità di far valere in giudizio la pretesa del locatore di ottenere in restituzione l’immobile, «poiché risulta che la mancata formalizzazione del contratto sia stata imposta dal locatore, la nullità del contratto non poteva essere azionata in giudizio dal ricorrente. È anche vero, però, che l’occupazione dell’immobile da parte dell’inquilino con la mancata corresponsione dei canoni di locazione pattuiti dà luogo alla possibilità giudiziale di ottenere presso il giudice civile il rilascio dell’immobile: pertanto, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, esisteva una pretesa astrattamente tutelabile da parte del ricorrente».

Nessun dubbio, invece, sulla configurabilità del reato di violazione di domicilio, dal momento che «il diritto di escludere la presenza di altri all’interno del domicilio spetta anche all’occupante sine titulo».

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com