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Violenza sessuale: ai fini della consumazione del reato è richiesta la mera mancanza di consenso e non la manifestazione di dissenso

Cassazione Penale, Sez. III, 10 maggio 2023 (ud. 19 aprile 2023), n. 19599
Presidente Ramacci, Relatore Galanti

In tema di violenza sessuale, segnaliamo la sentenza con cui la terza sezione penale della Corte  di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul confine tra “mancanza di consenso” e “manifestazione di dissenso” da parte della persona offesa.

Secondo costante giurisprudenza – si legge nella decisione – «integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona».

Si è, infatti, affermato che «l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale»; ne deriva che «ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente».

In sostanza – precisa la Corte – «nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria».

La sentenza impugnata – scrivono i giudici di legittimità – «affermando che la stessa persona offesa ha riferito di avere bevuto qualche bicchiere di vino insieme agli imputati, ma non tanto da ubriacarsi e non ragionare, sembrerebbe lasciare intendere, sia pure in modo larvato, una sorta di “consenso implicito“, soluzione ermeneutica che sembrerebbe ravvisare la non punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo così per porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una “presunzione di consenso” agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, ciò che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati».

Redazione Giurisprudenza Penale

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