Omicidio di Carol Maltesi: la sentenza della Corte di Assise di Busto Arsizio
Corte di Assise di Busto Arsizio, 5 luglio 2023 (ud. 12 giugno 2023), n. 1
Presidente dott. Fazio, Giudice dott.ssa Ferrazzi
Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda (relativa all’omicidio di Carol Maltesi), la sentenza con cui la Corte di Assise di Busto Arsizio ha condannato Davide Fontana alla pena di anni 30 di reclusione.
In punto di diritto, tra le principali questioni su cui la Corte si è pronunciata, vi sono quelle relative alle circostanze aggravanti – tutte escluse dai giudici – della premeditazione, dei motivi abietti e futili e della crudeltà.
1. Aggravante della premeditazione
È noto – si legge nella sentenza – «che manchi una definizione codicistica della premeditazione» che, come osservato dalla Cassazione, «nel delitto di omicidio la circostanza aggravante della premeditazione, prevista dall’art. 577 comma 1 n. 3 cod. pen., richiede due elementi: uno, ideologico o psicologico, consistente nel perdurare, nell’animo del soggetto, di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito».
Se questa, dunque, «è la composita e consolidata regola di giudizio a cui ci si deve attenere, reputa la Corte d’Assise che nel caso di specie non sia stata raggiunta la prova appagante dei due predetti elementi costitutivi della circostanza aggravante in esame».
Non è dubbio – scrive la Corte – che «l’imputato fosse innamorato di Carol Maltesi: l’ha ripetuto espressamente più volte egli stesso, risulta dalle chat e l’ha confermato l’amica comune». Se ciò è vero – ed è processualmente vero – «è ben difficile credere che Davide Fontana abbia covato per lungo tempo il fermo proposito di sopprimere la donna comunque amata, che soprattutto gli permetteva di continuare a vivere in modo per lui finalmente pieno e gratificante».
Rimarca, soprattutto, la Corte d’Assise – tenuto conto della rammentata, composita regola di giudizio – che in ogni caso «l’Accusa nulla ha provato circa il vero e concreto momento dell’insorgenza del proposito criminale, il perdurare nelle more dell’intento omicida e il fatto che tale proposito sia rimasto costante e non abbia scontato ripensamenti durante detto periodo».
Neppure – si prosegue – «risulta allegato alcun elemento concreto ed univoco che provi che Fontana abbia organizzato l’omicidio, procurandosi per tempo i mezzi per realizzarlo, creando le condizioni per portarlo a termine “in sicurezza”, vale a dire senza lasciare tracce che potessero condurre a lui gli investigatori, ed aspettando freddamente e lucidamente l’occasione per realizzarlo».
In altri termini, ad avviso della Corte la pianificazione dell’attività futura, operata a meno di un paio d’ore dalla realizzazione dell’omicidio della Maltesi, nonché la assenza di qualunque significativa organizzazione sono difficilmente compatibile con la premeditazione del delitto.
Se, infatti, «avesse premeditato l’omicidio, l’imputato dopo aver portato a termine il suo progetto criminale non sarebbe rimasto a guardare il cadavere per mezz’ora, prima di abbandonarlo sul posto, con il rischio che venisse scoperto presto, e procurarsi in tempi comunque diversi le tende oscuranti per schermare il teatro del delitto, gli strumenti per sezionare il corpo, il freezer per congelarlo; avrebbe pulito accuratamente il luogo del delitto e non nel modo approssimativo e superficiale desumibile da quanto rinvenuto dai Carabinieri; non avrebbe solo in secondo momento cercato un luogo appartato – il residence di Vararo – dove provare a bruciare il corpo, né sarebbe stato costretto a ricongelare i resti e tenerli nella casa della vittima fino a trovare un luogo lontano, dove trasportarli – con gli ulteriori rischi connessi – e abbandonarli, in modo peraltro frettoloso ed inadeguato (tanto che vennero notati da un semplice passante)».
2. Aggravante dei motivi abietti e futili
I giudici hanno anche in questo caso ricordato come, ad avviso della Suprema Corte, «ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dei futili motivi, è necessario che il reato concretamente realizzato costituisca espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato, connotantesi come mero pretesto per lo sfogo di impulsi criminali assolutamente avulsi da alcuno scopo diverso dalla commissione in sé del reato, così manifestando una tale sproporzione rispetto alla determinazione criminosa da giustificare un giudizio di maggiore riprovevolezza dell’azione e di più accentuata pericolosità dell’agente».
Quel che secondo i Supremi Giudici caratterizza i motivi abietti o futili – afferma la Corte – «è, nella sostanza ed in ogni caso, la sproporzione tra la concreta condotta illecita realizzata rispetto al motivo banale, poco importante, pretestuoso, che ha indotto il soggetto attivo a commettere il reato; tale sproporzione, sintomatica di un moto interiore assolutamente sproporzionato ed eccessivo, giustifica l’aggravamento di pena implicato dalla circostanza in esame».
Applicando tale articolato orientamento giurisprudenziale al caso di specie, «reputa la Corte d’Assise che non possa ritenersi che Davide Fontana abbia agito per motivi abietti o futili, avendo il dibattimento dimostrato che la vera ragione per la quale 1’11 gennaio 2022 l’imputato uccise Carol Maltesi vada individuata nella circostanza che l’uomo si rese conto che ormai la Maltesi, dopo averlo in qualche misura usato, si stava allontanando da lui, scaricandolo».
Ad avviso dei giudici, «l’idea di perdere i contatti stabili con colei – che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente – da cui sostanzialmente dipendeva, poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo diverso e finalmente gratificante, si è rivelata insopportabile. Probabilmente Davide Fontana si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e lo avesse usato e ciò ha scatenato l’azione omicida».
Se questo è stato il motivo-movente dell’omicidio – si legge nella sentenza – «lo stesso non può essere ritenuto abietto o futile in senso tecnico-giuridico».
Esso, infatti, «oltre a non poter essere ritenuto turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca alla commissione di qualunque delitto doloso cruento, non è stato espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato e tale da costituire un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale, peraltro non evidenziato dalle voci tecniche del processo. Dal punto di vista del Fontana, l’omicidio era un modo – certo non condivisibile e sproporzionato secondo il comune modo di sentire – per venire fuori da quella condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui».
Sul punto, la Corte ha ricordato come, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, «il giudizio sulla futilità del motivo, che integra la circostanza aggravante dei motivi abietti o futili, non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa».
Ne deriva che, «valutando “soggettivamente” la condotta del Fontana, essa, dal suo punto di vista e tenuto conto del particolare momento in cui venne posta in essere, non può essere considerata futile, nel senso codificato dall’art. 577, primo comma, n° 4, in relazione all’art. 61, primo comma, n° 1, c.p.: Fontana, uccidendo Carol Maltesi, si liberava della predetta insopportabile incertezza e guardava avanti».
3. Aggravante della crudeltà
Ad avviso della Corte, «posto che una certa quota di crudeltà è inevitabilmente insita in qualunque delitto doloso cruento, per decidere se la condotta omicida per cui è processo sia stata caratterizzata dalla circostanza aggravante in esame è ancora una volta necessario rifarsi ai concetti di sevizie e di crudeltà elaborati dalla Corte di Cassazione».
Le Sezioni Unite hanno affermato che «la crudeltà si distingue dalle sevizie, che fanno riferimento ad una “condotta studiata e specificamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, rispetto alla “normalità causale” del delitto perpetrato» ed hanno spiegato che «si ha invece “crudeltà” quando l’inflizione di un male aggiuntivo denota la spietatezza della volontà illecita manifestata dall’agente, specificando che la circostanza aggravante dell’avere agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole».
Ciò premesso, «bisogna allora chiedersi se avere inferto a Carol Maltesi tredici colpi di martello alla testa con i quali le sono state cagionate gravissime lesioni craniche ed encefaliche, ancorché non immediatamente letali, costituisca condotta crudele nel senso precisato dalla giurisprudenza di legittimità; il che equivale a chiedersi se si possa ritenere che la descritta condotta di Davide Fontana fosse volta ad infliggere un male aggiuntivo, fosse caratterizzata da spietatezza e fosse sintomatica di un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, moralmente inaccettabile».
A tale quesito, la Corte d’Assise ha fornito risposta negativa.
La condotta cristallizzata nell’imputazione ed accertata in dibattimento, infatti, «è stata unica ed è consistita in una serie di colpi di mazzetta portati senza soluzione di continuità quando Davide Fontana, per le ragioni già sottolineate, decise che era giunto il momento di uccidere Carol Maltesi, approfittando – come si vedrà – del fatto che la donna fosse legata a terra mani e piedi, imbavagliata ed incappucciata, e non potesse rendersi conto di quanto stava per accaderle e difendersi».
Nulla in concreto – prosegue la sentenza – «ha dimostrato che i colpi di martello siano stati inferti in più fasi e che il movimento della testa della vittima fosse stato un movimento reattivo, drammaticamente consapevole; è invece ragionevole ritenere che quel movimento altro non sia stato che la reazione “meccanica” provocata dalla stessa violenza dei colpi».
Secondo la Corte, «non può pertanto ritenersi provato in modo convincente che Davide Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia».
Nessun elemento processuale, del resto, «ha smentito la sua affermazione, secondo la quale il taglio della gola sarebbe stato un modo per alleviare le sofferenze della Maltesi, quando da un movimento della gamba di lei si era accorto che fosse ancora viva: se fosse stato mosso da crudeltà, Fontana avrebbe potuto “semplicemente” continuare ad infierire con il martello sul capo o sul corpo della donna».
Né – si conclude – «può farsi il grave errore di desumere la crudeltà nel realizzare l’omicidio dalla raccapricciante, orripilante condotta successiva ed in particolare dall’agghiacciante “gestione” del cadavere e dello spaventoso scempio fattone (che tanto orrore ha suscitato nella pubblica opinione)».