ARTICOLIDIRITTO PENALE

La confisca del denaro nel caso di detenzione di sostanze stupefacenti orientata allo spaccio

[a cura di Filippo Lombardi]

Cassazione penale, sez. III, 8 febbraio 2024 (ud. 24 gennaio 2024), n. 5500
Presidente Ramacci, Relatore Semeraro

Con la sentenza n. 5500 del 2024, qui brevemente annotata, la Corte di cassazione si è pronunciata sui requisiti per disporre la confisca del denaro nei reati in materia di stupefacenti.

Premette la Corte di legittimità che, ai sensi dell’art. 7 bis dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p., è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto. Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (in termini, Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617).

Occorre, però, ribadire che può costituire oggetto di confisca solo il prodotto o il profitto del reato per il quale l’imputato è stato condannato e non di altre condotte illecite, estranee alla declaratoria di responsabilità (si veda Cass. pen., sez. IV, 79 settembre 2016, n. 40912).

Pertanto, è certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca profitto del reato di vendita di sostanze stupefacenti quando tale sia il reato per cui si procede e per il quale sia stata pronunciata condanna.

Quanto al delitto di “detenzione” di stupefacenti per fini di spaccio, potrebbe porsi analogo interrogativo, potendo facilmente accadere che nel luogo ove il soggetto agente deteneva lo stupefacente siano anche reperite somme di denaro.

In questo caso, non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscano il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e siano destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi come strumento, prodotto, profitto o prezzo del reato (cfr. Cass. pen., sez. VI, 17 ottobre 2017, n. 55852). In particolare, la somma di denaro rinvenuta nella disponibilità del reo non costituisce il “profitto” del reato, «perché non è il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito».

Può procedersi alla confisca del denaro rinvenuto solo quando si provi che esso costituisca il prezzo del reato di detenzione: cioè, quando «risulti provato che sia il corrispettivo ricevuto dall’imputato da terzi per la detenzione della sostanza stupefacente», instaurandosi così un nesso di pertinenzialità fra la cosa e l’attività illecita contestata (ex art. 240 co. 2, n. 1, c.p.).

Argomenta la Corte di legittimità con la sentenza qui segnalata come non sia sufficiente, al fine di ritenere provato un collegamento eziologico tra denaro e detenzione il fatto che la somma non sia giustificata dal reo al momento dell’accertamento di polizia né che sia stata rilevata la mancanza di un’occupazione lavorativa che possa in astratto giustificare il possesso dello specifico importo.

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com