CONTRIBUTIDiritto Penitenziario

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna solleva questione di legittimità costituzionale in materia di differimento della pena in presenza di condizioni di salute irreversibili

in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 7-8 – ISSN 2499-846X

Tribunale di sorveglianza di Bologna, Ordinanza, 29 aprile 2025
Presidente dott.ssa Vassallo, Relatore dott. Romano

Si segnala l’ordinanza del 29 aprile 2025 n. 1704/2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna in tema di differimento dell’esecuzione della pena e condizioni di salute irreversibili, in attesa del vaglio della Corte Costituzionale.

È ragionevole l’attuale quadro normativo che, a fronte dell’accertamento a carico del condannato di uno stato di irreversibile incapacità psicofisica, non prevede la possibilità per il magistrato di sorveglianza di dichiarare non luogo a provvedere sull’esecuzione per impossibilità di sottoporre il condannato ad esecuzione penale, imponendogli – così – di continuare a differire l’esecuzione della pena con rivalutazione di una condizione clinica irreversibile? Questo è il quesito che si è posto il Tribunale di sorveglianza di Bologna, il quale, all’esito di un articolato e approfondito percorso motivazionale, ha ritenuto irragionevole il sistema esistente e ha sollevato questione di illegittimità Costituzionale con un’ordinanza particolarmente significativa, di cui si riporta il dispositivo: “Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva nei termini indicati questione di legittimità Costituzionale dell’articolo 147 c.p. per violazione degli articoli 3 c. 2, 24, 27 c. 3, 111 c. 2 Cost. e 117 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU nella parte in cui non prevede che: “Se a seguito degli accertamenti esperiti, ove occorra anche mediante perizia, risulta che lo stato psicofisico del condannato è tale da impedire la cosciente sottoposizione all’esecuzione della pena e che tale stato è irreversibile, il giudice pronuncia ordinanza di non luogo a procedere o ordinanza di non doversi procedere”.

La suddetta ordinanza ha il merito, particolarmente apprezzabile, di aver messo in chiara luce un problema evidente, che si ripropone con frequenza nella pratica quotidiana e che, ad oggi, non ha ancora trovato una soluzione sul piano normativo.

Il provvedimento trae origine da un caso concernente una persona condannata alla pena di tre anni e otto mesi per numerosi reati, la cui situazione personale era significativamente mutata rispetto al momento della presentazione della domanda di detenzione domiciliare, a causa di un progressivo e rilevante deterioramento delle sue condizioni sanitarie. Il condannato, infatti, inserito da tempo in una struttura per anziani, risulta affetto da deficit cognitivi e da gravi problemi di deambulazione. Le relazioni cliniche evidenziano una significativa compromissione delle funzioni psicofisiche, tale da comportare l’impossibilità di comprendere pienamente le finalità trattamentali e il senso stesso dell’esecuzione penale. Anche secondo la relazione redatta dagli operatori dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), non sussiste alcuna pericolosità sociale residua.

Alla luce di tali premesse, il provvedimento passa dapprima in rassegna le soluzioni presenti nel nostro ordinamento ed in particolare esamina l’istituto del differimento facoltativo ai sensi dell’articolo 147 c.p.. In sostanza, il giudice può disporre il differimento dell’esecuzione della pena esercitando un sindacato che non si limita alla verifica della sussistenza delle condizioni tassativamente elencate dalla norma, ma che deve estendersi anche alla valutazione dell’adeguatezza di tale misura rispetto al rischio di commissione di altri reati.  Laddove si accerti un residuo di pericolosità sociale, trova applicazione la detenzione domiciliare c.d. umanitaria, disciplinata dall’articolo 47 ter comma 1-ter o.p., strumento individuato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 99 del 2019 per contemperare le esigenze di tutela della salute, anche psichica, della persona con la necessità di garantire la sicurezza collettiva.

Il caso sottoposto all’attenzione del collegio di giudici bolognese rientrerebbe senz’altro nell’ipotesi prevista dall’art. 147, n. 2 c.p., che consente il differimento dell’esecuzione della pena in presenza di una particolare condizione di incapacità psicofisica del condannato, accompagnata dall’assenza di un concreto rischio di reiterazione di reati. Tuttavia, come evidenziato nell’ordinanza, “il Tribunale sarebbe tenuto a disporre un differimento fissando un termine di scadenza della dilazione dell’esecuzione della pena entro il quale si dovrebbe procedere ad una rivalutazione in ordine alla permanenza delle condizioni che legittimano la postergazione dell’esecuzione”.

Colpisce nel segno il Tribunale di Sorveglianza di Bologna nel mettere in luce la palese lacuna normativa nei casi in cui, come quello appena delineato, le ragioni del differimento non derivino da una condizione transitoria e suscettibile di miglioramento, bensì da una patologia irreversibile che renda stabilmente la persona incapace di essere sottoposta all’esecuzione della pena. I giudici di sorveglianza evidenziano, in particolare, come non dispongano della medesima “cassetta degli attrezzi” a disposizione dei giudici di merito. Infatti, la riforma c.d. Orlando, modificando la disciplina degli articoli 70-72 bis c.p.p., consente invece al giudice della cognizione di pronunciare sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, nel caso in cui accerti una condizione mentale dell’imputato tale da impedire in modo irreversibile la sua partecipazione al processo (salvo l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca a nei confronti della persona che risulti socialmente pericolosa). Si precisa come alla suddetta riforma si sia pervenuti anche grazie all’impulso della Corte Costituzionale, la quale, con le sentenze n. 23 del 2013 e n. 45 del 2015, ha svolto un ruolo propulsivo: dapprima dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale — con un’esplicita sollecitazione al Legislatore affinché intervenisse in materia — e successivamente accogliendo la medesima questione, sollevata dal Tribunale ordinario di Milano, con una pronuncia che ha dichiarato “per contrasto con l’articolo 3, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 159, primo comma, cod. pen. nella parte in cui, ove lo stato mentale dell’imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo venga sospeso non esclude la sospensione della prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile”.

Occorrerebbe dunque una previsione analoga a quella fornita al giudice di cognizione che ora ha la possibilità di porre la parola fine a processi che non avevano la cosciente partecipazione delle parti interessate, per la assoluta irragionevolezza di continuare a effettuare verifiche con accertamenti peritali i cui esiti risulterebbero ovvi. Appare irragionevole che il Tribunale di Sorveglianza non disponga di una possibilità analoga e si veda, invece, costretto ad effettuare continue rivalutazioni senza poter escludere in via definitiva un’esecuzione penale priva della partecipazione cosciente del condannato al procedimento esecutivo. Si tratta di rivalutazioni ancorate a valutazioni predittive spesso del tutto scollegate dalla concreta evoluzione della situazione sanitaria del condannato, che finiscono per tradursi in un aggravio di lavoro per i Tribunali di Sorveglianza, già fortemente gravati da problematiche strutturali e dall’emergenza, sempre più drammatica, del sovraffollamento carcerario. Condizioni che imporrebbero un’attività di vigilanza serrata e il più efficace possibile. A ciò si aggiunge l’onere di impegno richiesto anche alla persona condannata e ai suoi familiari, costretti ad attivarsi per l’instaurazione di inutili e scontate, quanto all’esito, richieste di proroghe del differimento della pena. Un meccanismo opportunamente definito come “una macchina che gira a vuoto”. La normativa attuale risulta evidentemente in contrasto con l’art. 3 c. 2 Cost. e 27 c. 3 Cost.

Sotto ulteriore profilo risulta anche non garantito il diritto di difesa del condannato di cui all’art. 24 Cost. laddove la parte non possa partecipare coscientemente al procedimento di sorveglianza. Di rilievo anche il richiamo alla possibile lesione degli artt. 111 c.2 Cost. e 117 Cost. rispetto all’art.6 CEDU. Come riporta l’ordinanza, la consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha rilevato come “il diritto all’irragionevole durata del processo non si esaurisce esclusivamente nel contesto dell’attività processuale in senso stretto, ma riguarda tutti i procedimenti giurisdizionali, inclusi quelli esecutivi, dovendo considerarsi l’esecuzione di un giudicato, di qualsiasi giurisdizione, come facente parte integrante della nozione di processo di cui all’art. 6”. Pertanto, essendo il giudizio di esecuzione “processo” a tutti gli effetti della Convenzione, ne deve essere assicurata anche la ragionevole durata. Infatti, “una inutile o colpevole dilazione della decisione (…) lederebbe non solo il principio di emenda, il diritto all’oblio ed altri interessi meritevoli di tutela che si correlano al tempo del processo, ma anche la legittima aspettativa dei cittadini di vedere la propria posizione rispetto all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza definita entro termini congrui”.

Una pena senza “qualsiasi possibilità di proiezione rieducativa per incapacità del condannato” si pone infine in termini problematici rispetto all’art. 27 della costituzione anche laddove eseguita e imposta nella forma della detenzione domiciliare ex art. 47 ter comma 1 ter. Diventerebbe una pena subita inconsapevolmente e senza la benché minima speranza del raggiungimento di uno degli obietti prioritari imposti dalla nostra Costituzione.

Ci si augura pertanto ancora una volta un intervento risolutivo da parte della Corte Costituzionale, volto a colmare questa persistente lacuna normativa.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Calcaterra, Il Tribunale di sorveglianza di Bologna solleva questione di legittimità costituzionale in materia di differimento della pena in presenza di condizioni di salute irreversibili, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 7-8