ARTICOLIDALLA CONSULTADIRITTO PENALELegilsazione speciale

E’ illegittimo l’art. 5 c.5 d. lgs. 286 del 1998 nella parte in cui non prevede una tutela “rafforzata” per lo straniero con legami familiari

Corte Costituzionale, 18 luglio 2013, n. 202
Presidente Gallo, Relatore Frigo

Depositata oggi la pronuncia numero 202 della Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 5, e 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato) promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nonché all’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il giudice rimettente, chiamato a decidere della legittimità di un provvedimento amministrativo di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, aveva osservato che l’automatismo ostativo alla permanenza sul territorio nazionale del condannato, anche in via non definitiva, per alcuni reati, fra i quali quelli in materia di stupefacenti, disposto in generale dall’art. 4, comma 3, del d. lgs. 286 del 1998, è escluso, in via di eccezione, nelle ipotesi previste dai successivi artt. 5, comma 5, e 9, rispettivamente per coloro che hanno esercitato il diritto al ricongiungimento familiare e per coloro che richiedono un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. In tali casi eccezionali, infatti, è prevista una valutazione discrezionale della pericolosità attuale dello straniero da parte della pubblica amministrazione, che deve tenere conto di elementi quali la durata del soggiorno, il grado di inserimento sociale e lavorativo dello straniero e i suoi legami familiari, senza che l’autorità amministrativa possa, in tali ipotesi eccezionali, rifiutare il permesso di soggiorno o il suo rinnovo automaticamente per il solo fatto dell’intervenuta condanna.
Secondo il giudice a quo, il ricorrente si trovava nelle condizioni sostanziali per ottenere, sia il ricongiungimento familiare, sia il permesso CE di lungo soggiorno, ma non avendo presentato le relative istanze e non avendo, quindi, esercitato i relativi diritti, né ottenuto i relativi provvedimenti, non rientrava nelle eccezioni previste dal legislatore e dovrebbe, perciò, essere assoggettato all’automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno, in forza della subita condanna.La Consulta ha ritenuto fondata la questione solo con riferimento all’art. 5 c.5 del d. lgs. 286 del 1998

Venendo ora alla pronuncia della Consulta, i giudici hanno preso le mosse osservando come la disposizione impugnata prevede che nell’adottare il provvedimento di rifiuto, revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno «dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ovvero del familiare ricongiunto» si tiene conto anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese di origine, nonché della durata del suo soggiorno nel territorio italiano. In tal modo, cioè, gli stranieri che sono presenti in Italia in virtù di un provvedimento di ricongiungimento familiare possono godere di una tutela rafforzata, che li pone al riparo dall’applicazione automatica di misure capaci di compromettere la loro permanenza nel territorio, in caso di condanna per i reati indicati dall’art. 4, comma 3, del t.u. sull’immigrazione.
Il punctum dolens della questione risiede nel fatto che tale tutela “rafforzata”, tuttavia, non si estende – secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 5 – nei confronti di coloro che, pur trovandosi nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento familiare, non hanno fatto richiesta del relativo provvedimento formale e, dunque, non hanno «esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» ai sensi della disposizione impugnata. Nei loro confronti, pertanto, si dovrebbe applicare un automatismo, che impone alla pubblica autorità di procedere senz’altro al rifiuto del rilascio, alla revoca o al diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, qualora i richiedenti risultino condannati, con sentenza anche non definitiva, per i reati previsti dall’art. 4, comma 3, del d. lgs. 286 del 1998
Questa, pertanto, la questione centrale: l’esclusione dal campo di applicazione della tutela rafforzata di cui all’art. 5, comma 5, del t.u. sull’immigrazione, di coloro che, pur avendone i requisiti, non hanno esercitato il loro diritto al ricongiungimento familiare.
I giudici costituzionali hanno ritenuto che tale disposizione, così come è formulata, determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso; tale restrizione viola l’articolo 3 della Costituzione e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli articolo 29, 30 e 31 della Costituzione e che la Repubblica è vincolata a sostenere, anche con specifiche agevolazioni e provvidenze, in base alle suddette previsioni costituzionali.
La tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta e attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari.
Per questi motivi la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del d. lgs. 286 del 1998 nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato».

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Redazione Giurisprudenza Penale

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