CONTRIBUTIDIRITTO PENALELegilsazione speciale

Gli omessi versamenti IVA possono comportare la doppia sanzione: penale e amministrativa

Cassazione Penale, Sezioni Unite, 12 settembre 2013 (ud. 28 marzo 2013), n. 37424 
Presidente Lupo, Relatore Cortese, Ricorrente Romano

La massima

Fra il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, inserito dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta), e il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1 (che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA), intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni;tale D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, è quindi applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.

Il commento

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte di Cassazione a S.U. esamina, con riferimento all’ omesso versamento dell’Iva, la nuova fattispecie del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto (per un ammontare superiore a cinquantamila Euro), dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, ossia entro il 27 dicembre dell’anno successivo.
Tale disposizione, dunque, presuppone l’avvenuta presentazione della dichiarazione IVA, ed è modellata esattamente su quella di cui all’art. 10-bis dello stesso DLgs, prevedendo la stessa pena, la medesima soglia di punibilità ed un momento consumativo del reato collegato ad un termine di adempimento ben determinato. Da ciò consegue che il comportamento del soggetto che non provvede a versare l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è, quindi, assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti(art 10 bis). Per il perfezionamento del reato in esame è necessario che il contribuente ometta di versare l’IVA dichiarata a debito per l’anno precedente entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo, e cioè entro il 27 dicembre dell’anno successivo.
Nella sentenza in epigrafe, le S.U. della Cassazione sono state, quindi, chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione: se il nuovo termine di scadenza del 27 dicembre dell’anno successivo (nella specie il 27 dicembre 2006) e la relativa sanzione penale prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter possano riguardare anche gli omessi versamenti dell’IVA nei singoli termini già scaduti nel 2005, ovvero se gli illeciti consistenti in queste omissioni si fossero già consumati e perfezionati al momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, con conseguente inapplicabilità dell’art. 10-ter.
Ai fini della comprensione della problematica giuridica sottesa alla vicenda de qua, appare opportuno delineare in sintesi il rapporto fra l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, e l’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter. La normativa tributaria rispetto all’applicabilità della prima prevede infatti che il versamento dell’imposta sul valore aggiunto deve essere effettuato, dai contribuenti mensili, entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, e, dai contribuenti trimestrali, entro il giorno 16 del secondo mese successivo a ciascuno dei trimestri solari poiché in caso contrario Il mancato versamento dell’IVA alla scadenza dei suddetti termini è punito con l’ art. 13del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Con l’introduzione del D.Lgs. 74 del 2000, art. 10-ter non si è formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro, ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1 (rimasto in vigore), comprendenti l’omesso versamento, alle previste scadenze mensili (o trimestrali), del debito IVA, la previsione di una specifica fattispecie penale, ruotante sì nell’ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi. In questo caso, quindi non si pone un problema di successione di norme sanzionatorie, bensì una questione di eventuale concorso apparente di norme (penale ed amministrativa), regolato dal principio di specialità.
Per stabilire, se nel caso in esame si è in presenza di un concorso apparente o effettivo di norme, si tratta, dunque, di verificare se le norme sanzionatorie concorrenti riguardino o meno lo “stesso fatto”.
Entrambi gli illeciti concorrenti, invero, sono illeciti omissivi propri, integrati dal mero mancato compimento di un’azione dovuta. Nell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, il presupposto è costituito dal compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’IVA, la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento periodico dell’IVA, e il termine per l’adempimento è fissato al giorno sedici del mese (o trimestre) successivo a quello di maturazione del debito IVA (D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, art. 1, comma 4). Nell’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10- ter, il presupposto è costituito sia dal compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’IVA, sia dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno precedente. Come si vede, pur nella comunanza di una parte dei presupposti  e della condotta (omissione di uno o più dei versamenti periodici dovuti), gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in particolare: dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA, richiesta per il solo illecito penale; dalla soglia minima dell’omissione, richiesta per il solo illecito penale; dal termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione, fissato, per l’illecito amministrativo, al giorno sedici del mese successivo a quella di maturazione del debito mensile IVA, e coincidente, per l’illecito penale, con quello previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo. In conclusione le illustrate divergenze, hanno indottogli Ermellini, a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest’ultima (senza almeno una violazione del termine periodico non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (dichiarazione annuale, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità, in quanto recano decisivi segmenti comportamentali (in riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale IVA e al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo. La presenza della previsione dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, e la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo, secondo gli Ermellini, all’applicazione, in riferimento allo stesso periodo d’imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici presupposti, della statuizione relativa all’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter.
Occorre altresi’ ricordare che nella giurisprudenza specifica formatasi sul reato di omesso versamento di IVA per il 2005 non si è mai  registrato, in effetti, nessun contrasto.
Ampia giurisprudenza ha sempre ritenuto che l’art. 10-ter ha introdotto un nuovo reato per l’omesso versamento dell’IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale il cui momento consumativo va individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, sicchè, per la consumazione del reato occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino a tale scadenza. Dal fatto, dunque, che la disposizione in esame è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per l’IVA relativa alla dichiarazione dell’anno precedente, deriva che la nuova disposizione sanzionatoria debba trovare applicazione per tutti i reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre del 2006 riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005.
Tale orientamento è stato ribadito da Sez. 3, n. 39449 del 04/04/2012, Segre, che, richiamandosi alla sentenza Mazzieri, ha ritenuto sussistente il reato di omesso versamento di IVA anche per l’annualità 2005 e ha escluso che ciò possa configurare violazione del divieto di retroattività sfavorevole di cui all’art. 2 cod. pen. e art. 25 Cost.
Nella fattispecie concreta, la Corte di Cassazione a S.U. ha rigettato il ricorso proposto dall’imputato-ricorrente che ha lamentato la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter e dell’art. 2 cod. pen., per violazione del principio di irretroattività della norma penale, posto che il reato contestato è stato introdotto con D.L. 4 luglio 2006, n. 233, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, mentre il fatto a lui ascritto riguardava l’omesso versamento degli acconti IVA che dovevano essere pagati nei mesi di febbraio, luglio, agosto e ottobre dell’anno 2005, in un’epoca, quindi, anteriore all’entrata in vigore della nuova previsione incriminatrice e in cui tale omissione era punita solo con una sanzione amministrativa.
I Supremi Giudici della Corte di Cassazione hanno infatti ribadito che se è vero, infatti, che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10- ter, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che la condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.
Pertanto, il ricorrente che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla normativa tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al quantum risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila Euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che dà luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo. Consegue da tanto, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10- bis in riferimento all’art. 25 Cost., comma 2, confermata anche dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 25 del 2012.
Con riferimento poi al problema dell’elemento soggettivo, gli Ermellini hanno sottolineato che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA, infatti è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta . Non colgono nel segno, allora, le censure di parte ricorrente che ha appunto invocato infondatamente l’esclusione dell’elemento soggettivo per le gravissime difficoltà economiche in cui la stesso versava.
In conclusione, da questo recente dictum delle S.U., discende che la presenza della previsione dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, e la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo all’applicazione, in riferimento allo stesso periodo d’imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici presupposti, della statuizione relativa all’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter.