ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

Sulla divulgazione dell’immagine di persona offesa da reati sessuali – Cass. Pen. 2887/2014

Cassazione Penale, Sez. III, 22 gennaio 2014 (ud. 12 dicembre 2013), n. 2887
Presidente Teresi, Relatore Pezzella

Depositata il 22 gennaio 2014 la pronuncia numero 2887 della terza sezione relativa all’illecito contravvenzionale di cui all’art. 734-bis c.p. (divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale).

Questi i fatti così come riportati dai giudici nelle motivazioni: il Tg5, nell’edizione serale di maggiore ascolto (quella delle 20), aveva trasmesso alcune immagini, riprese nel corso dell’incidente probatorio avente ad oggetto l’audizione protetta dei minori sopra indicati, nell’ambito del caso giudiziario che ebbe a riguardare la scuola materna di Rignano Flaminio. Nello specifico le immagini ritraevano i colloqui tenutisi il 12 luglio di quell’anno tra taluni dei minori presunti abusati e una psicologa dell’Istituto di neuropsichiatria infantile, incaricata, con altri specialisti, di accertare le condizioni psichiche dei minori coinvolti al fine di verificarne la loro capacità testimoniale. I due imputati venivano perciò chiamati a rispondere rispettivamente come direttore del telegiornale e autrice del servizio. La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Monza, revocava le statuizioni civili, condannava gli imputati alla rifusione delle spese della proseguita difesa delle altre parti civili, e confermava la sentenza di condanna dei due imputati all’ammenda di Euro 3420 oltre al risarcimento del danno.

La Suprema Corte ha respinto i ricorsi dei due imputati soffermandosi, in particolare, sul concetto di “non riconoscibilità” delle immagini divulgate.  Con l’art. 734bis c.p. – afferma la Corte – il legislatore ha introdotto nell’ordinamento una norma destinata alla protezione della riservatezza delle persone offese da atti di violenza sessuale e tale protezione non contempla alcuna eccezione, se non il consenso della medesima persona offesa; la condotta, pacificamente, almeno sul piano della astratta applicazione della norma, può essere indifferentemente consumata a titolo di dolo o di colpa, rientrando nel novero delle contravvenzioni.

In assenza di consenso della persona offesa, pertanto, l’illiceità della condotta s’incentra sull’attività di “divulgazione“, consistente nel portare a conoscenza di un numero indeterminato di persone notizie riservate (nel caso che ci occupa le generalità o l’immagine di “qualsiasi” persona offesa di quegli specifici reati), con ogni modalità, prevedendosi espressamente che ciò possa avvenire “anche attraverso mezzi di comunicazione di massa”, tra cui rientrano, evidentemente, non soltanto i mass media tradizionali (stampa, televisione, radio), ma anche quelli diffusisi con le nuove tecnologie (siti web, blog, social network, mailing list); si tratta di un reato contravvenzionale, quindi procedibile d’ufficio, e pertanto nessuna conseguenza in ordine alle statuizione penali può avere l’intervenuta remissione di querela e la successiva revoca della costituzione di parte civile da parte dei genitori in proprio e nell’interesse dei minori.

Integra, pertanto, la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 734-bis c.p., avente natura di reato di pericolo,  un filmato – come quello oggetto del presente giudizio – che mostra riprese fatte con telecamere installate in un locale di pochi metri quadrati, in cui gli individui che si muovono in uno spazio ristretto sono ripresi non solo di schiena, ma, seppure per pochi attimi, anche di profilo, in modo tale da essere identificabili. La condotta di divulgazione dei dati o dell’immagine è, dunque, vietata in quanto suscettibile di costituire fonte di pericolo per la parte offesa di essere riconosciuta in quanto tale, rispetto a reati che, nel comune sentire collettivo, sono infamanti anche per chi li subisce. La sussistenza di tale ulteriore danno nel caso concreto, pertanto, non deve essere accertata e ciò che il Giudice è tenuto ad accertare è solo il verificarsi di quel comportamento che il legislatore ha ritenuto normalmente pericoloso per il bene tutelato dalla norma.

Deve considerarsi, inoltre, che il sacrificio della privacy delle vittime – concludono i giudici – è stato operato non sull’altare dell’interesse generale bensì su quello della tempestività del servizio giornalistico, al fine di dare la notizia per primi, quindi esclusivamente per il successo della testata. Nel caso di specie l’interesse non era quello di riferire un fatto – che ci fosse un procedimento penale in corso per dei supposti atti di violenza sessuale avvenuti nella scuola era circostanza ormai nota – ma proprio quello di mostrare le immagini di un atto giudiziario e, al suo interno, quelle del perito e delle piccole vittime.

Questa, in conclusione, la massima ricavabile dalla pronuncia in questione: posto che con il reato previsto dall’art. 734-bis cod. pen. il legislatore ha affermato un vero e proprio diritto all’anonimato per le vittime di atti di violenza sessuale, deve escludersi che la condotta di chi divulghi, senza il consenso dell’interessato, le generalità o le immagini di persone offese da uno dei delitti indicati dalla norma possa essere scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca.

Redazione Giurisprudenza Penale

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