ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro la fede pubblicaDIRITTO PENALEParte speciale

Altera un gratta e vinci per ottenere la combinazione vincente: è reato di falso

Cassazione Penale, Sez. V, 12 febbraio 2014 (ud. 17 gennaio 2014), n. 6664
Presidente Lombardi, Relatore Pistorelli

In ricevitoria, in un’area di servizio, per strada, con gli amici, a casa. Quante volte abbiamo tentato la sorte con un “gratta e vinci” e quante volte abbiamo sognato di essere baciati dalla fortuna. E, poi c’è anche chi, in qualche modo, cerca di “dare una mano” alla fortuna…
Con sentenza del 12 luglio 2012 la Corte d’appello di Caltanissetta confermava la condanna emessa nei confronti di un uomo, per il reato di cui all’art. 485 c.p., per aver, nella specie, alterato un tagliando di una lotteria nazionale ad estrazione istantanea del tipo “gratta e vinci” in modo da far risultare lo stesso come vincente.
In parziale riforma della pronunzia di primo grado, la Corte d’appello territoriale, tuttavia, lo assolveva dal connesso reato di tentata truffa aggravata ai danni dell’ente gestore la lotteria, “ritenendo trattarsi di reato impossibile per inidoneità dell’azione, giacché la falsificazione aveva prodotto una combinazione numerica cui corrispondeva la vincita di un premio non contemplato tra quelli predisposti per il giuoco”.
Ebbene, avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione, l’imputato, muovendo a sua ragione due motivi.
Primo tra tutti, l’ “ingiustificata ed apodittica svalutazione operata dalla Corte territoriale della versione dei fatti offerta dall’imputato (il quale ha affermato di aver rinvenuto casualmente il tagliando sul tavolo di un bar)”.
In secondo luogo, l’errata applicazione della legge penale, rilevando come “proprio l’impossibilità originaria ed assoluta di conseguire la vincita risultante dal tagliando artefatto avrebbe determinato, prima ancora dell’impossibilità della truffa da cui i giudici d’appello lo hanno assolto, la stessa consumazione del reato di falso, atteso che lo stesso deve essere supportato dal dolo specifico di conseguire un utile che, per l’appunto, nel caso di specie non sarebbe mai stato possibile conseguire (…)”.
“Per le stesse ragioni – aggiungeva il ricorrente – il falso avrebbe dovuto essere qualificato come grossolano od innocuo, atteso che la vincita, quale risultato della combinazione della stringa di numeri contenuta nel tagliando, ne è un elemento indefettibile. Pertanto l’alterazione del tagliando in modo tale da non far risultare una vincita effettivamente riscuotibile, in quanto non corrispondente a nessuna di quelle previste nel montepremi, non poteva ritenersi idonea ad ingannare alcuno”.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
«(…) in tema di falso grossolano o inidoneo – afferma la Suprema Corte – è esclusa la configurabilità del reato impossibile qualora la difformità dell’atto dal vero non sia riconoscibile ictu oculi, in base alla sola disamina dell’atto stesso (Sez. 5, n. 36647 del 4 giugno 2008). Riconoscibilità che nel caso di specie è stata correttamente esclusa, attesa la natura degli adempimenti che si sono resi necessari per accertare l’alterazione del tagliando. Né rileva il fatto che la sequenza “vincente” artatamente creata dall’imputato non trovasse effettiva corrispondenza nel montepremi. Infatti, attesa la natura di pericolo del reato previsto dall’art. 485 c.p. (Sez. 5, n. 29026 del 30 aprile 2012), la grossolanità del falso deve essere valutata con riguardo esclusivo alle caratteristiche intrinseche del documento che ne costituisce l’oggetto e nella prospettiva della sua idoneità ad ingannare i terzi, senza che assuma rilievo il conseguimento del risultato cui la sua realizzazione risulta strumentale».
Ne deriva che, nel caso di specie, «l’effettiva possibilità di riscuotere il premio individuato dalla sequenza artefatta non incide sulla configurabilità del reato, atteso che il documento era comunque in grado di trarre in inganno».
Del pari infondata risulta «l’obiezione relativa alla sussistenza in concreto del dolo specifico richiesto dall’art. 485 c.p. (…) proprio la configurazione dell’elemento soggettivo nei termini indicati evidenzia come sia irrilevante ai fini della consumazione del reato che il vantaggio venga conseguito e come il dolo sia integrato anche nel caso in cui l’agente agisca nella mera soggettiva convinzione di poterlo realizzare».
La morale? Meglio affidarsi al caso … !

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