Sul rapporto tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e sequestro di persona
Cassazione Penale, Sez. V, 7 agosto 2014 (ud. 18 aprile 2014), n. 35076
Presidente Marasca, Relatore Micheli, P.G. Delehaye
Con la pronuncia che si segnala i giudici della quinta sezione penale della Corte di Cassazione sono tornati a pronunciarsi in ordine al rapporto intercorrente tra le fattispecie di reato di cui agli artt. 393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone) e 605 c.p. (sequestro di persona).
L’imputato, condannato in appello per esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e sequestro di persona, proponeva ricorso per Cassazione richiamandosi a quella giurisprudenza secondo cui sarebbe consentito ravvisare un concorso formale tra i reati de quibus solo qualora la limitazione della libertà abbia avuto una propria rilevanza ed autonomia, e ciò potrebbe accadere soltanto qualora la presunta condotta di sequestro di persona risulti estranea e comunque non indispensabile alla soddisfazione del preteso diritto che si intenda, pur arbitrariamente, esercitare. In caso contrario – osservava la difesa – si perverrebbe a compiere di fatto una duplicazione condannatoria, conferendo rilievo ai fini del sequestro alle medesime forme di coazione già valutate come elemento costitutivo della ragion fattasi.
La Corte ha ritenuto il motivo infondato escludendo di poter ravvisare un rapporto di specialità fra le norme di cui agli artt. 393 e 605 cod. pen., essenzialmente ragionando intorno al fatto che l’elemento costitutivo della privazione della libertà personale – da intendersi come impedimento alla libertà di locomozione – risulta estranea alla fattispecie astratta di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per realizzare la quale si richiedono genericamente condotte violente, od anche semplicemente di minaccia), mentre è elemento costitutivo del delitto di sequestro di persona.
Inoltre, come è noto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 605 cod. pen., lo scopo avuto di mira dal soggetto attivo non ha alcun rilievo: il che comporta che l’avere agito al fine di esercitare un preteso diritto non vale ad escludere il dolo del sequestro di persona (si tratta, infatti, di reato punito a titolo di dolo generico), ove la condotta posta in essere sia stata strumentale a precludere la libertà di movimento della vittima, quale evento oggetto di rappresentazione e volizione da parte del reo.
In definitiva, ricorrendo i presupposti di entrambi i reati, un sequestro di persona ben può concorrere con un addebito di ragion fattasi.
Secondo la Corte di Cassazione, meritano quindi di essere ribaditi e condivisi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza Rovere (Cass. Pen., Sez. 5, n. 9731 del 03/02/2009, Rovere, Rv 243020) – pronuncia peraltro richiamata già dalla Corte di Appello – secondo cui «il reato di sequestro di persona può concorrere con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando l’agente sia mosso dal fine di esercitare un preteso diritto e commetta il primo per eseguire il secondo».
A conclusione del ragionamento i giudici richiamano la giurisprudenza in tema di sequestro di persona secondo cui la privazione della libertà non necessariamente deve avere carattere di assolutezza, «essendo sufficiente anche una relativa impossibilità di recuperare la propria libertà di scelta e di movimento: nè alcun rilievo assume, da una parte, la maggior o minore durata della limitazione, purchè questa si protragga per un tempo giuridicamente apprezzabile, e, dall’altra parte, la circostanza che il sequestrato non faccia alcun tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento, non recuperabile con immediatezza, agevolmente e senza rischi. Il reato, infatti, è configurabile anche quando il soggetto passivo riesca a riappropriarsi della propria libertà, dopo una privazione giuridicamente apprezzabile che segna il momento consumativo del sequestro»(Cass., Sez. 5, n. 5443 del 15/11/1999, Pinco, Rv 215253). Ciò è appunto quel che si è verificato nella fattispecie concreta, con la vittima certamente costretta e bloccata contro il muro per alcuni minuti, quindi accompagnata dabbasso dall’imputato che si teneva sempre stretto a lui, come chiaramente percepito dalla titolare del bar dove i due soggetti si recarono: perciò, il particolare che l’avvocato non intese rivolgersi a qualche passante, o sollecitare in modo più plateale l’arrivo delle forze dell’ordine, ben può spiegarsi con la perdurante coercizione cui egli si trovava ancora sottoposto.
Del resto – si legge nelle motivazioni – già in alcune pronunce si è sostenuto che un tempo di venti minuti sia più che sufficiente per intendere perfezionato un sequestro di persona sul piano dell’elemento materiale (v. Cass., Sez. 1, n. 18186 dell’08/04/2009, Lombardo); ma, come avvertito, l’importante non è pervenire ad una quantificazione minima, bensì trovarsi dinanzi a un dato temporale comunque apprezzabile: «per la sussistenza dell’elemento materiale del delitto di sequestro di persona previsto dall’art. 605 cod. pen., è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, tale da privarlo della capacità di spostarsi da un luogo all’altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato ad un tempo anche breve» (Cass., Sez. 5, n. 43713 del 22/11/2002, Malatesta, Rv 223503, vicenda nella quale la vittima del reato era stata legata, per poi liberarsi da sola nel giro di pochi minuti).