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In tema di maltrattamenti in famiglia alla presenza di minori – Cass. Pen. 4332/2015

Cassazione penale, Sez. VI, 29 gennaio 2015 (ud. 10 dicembre 2014), n. 4332
Presidente Milo, Relatore Lanza

La massima
Possono integrare il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. non solo fatti commissivi, sistematicamente lesivi della personalità della persona offesa, ma anche condotte omissive connotate da una deliberata indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali della persona debole da tutelare. Può essere perciò ricompresa nel novero dell’offensività, tipica della norma, anche la posizione passiva dei figli minori laddove questi siano “sistematici spettatori obbligati” delle manifestazioni di violenza, anche psicologica (nella specie del padre nei confronti della madre).

Il Commento
1. Rendere i propri figli spettatori della violenza ripetutamente perpetrata nei confronti della loro madre può integrare (in danno dei primi, oltre che della seconda) il reato di maltrattamenti in famiglia, fattispecie prevista e punita dall’art. 572 c.p.; questo il principio di diritto espresso dai Giudici di Piazza Cavour, nella sentenza n. 4332/2015, depositata lo scorso 29 gennaio.
La norma pocanzi citata vieta l’atto consistente nel “maltrattare” (per quanto qui di interesse) una persona della famiglia. Il concetto di “maltrattamento” è stato oggetto, nel tempo, di plurimi chiarimenti giurisprudenziali. La suprema Corte ha infatti definito la condotta in esame quale necessariamente abituale (1), lesiva di diritti fondamentali della persona e inquadrabile in un vero e proprio sistema vessatorio, mortificante ed insostenibile. Tale complesso di atti deve cagionare uno stato di dolore, avvilimento e disagio incompatibile con le normali condizioni di esistenza (2).
In quanto reato abituale (3), esso richiede la reiterazione di atti – che da soli potrebbero anche non avere rilevanza penale – volti a cagionare quelle sofferenze psico-fisiche assolutamente in contrasto con le normali aspettative dell’individuo in quanto essere umano ed in particolare in quanto calato in un contesto socio-culturale, familiare, lavorativo in cui dovrebbero, per natura, generarsi rapporti di fiducia e reciproco sostegno.
Con giurisprudenza costante, la Corte della nomofilachia ha altresì precisato che la condotta vietata può assumere le forme dell’omissione, caratterizzata dalla completa indifferenza e trascuratezza verso i più elementari bisogni affettivi ed esistenziali della persona offesa (4). Con specifico riguardo al nucleo familiare e ai maltrattamenti verso i propri figli, la Corte ha qualificato la condotta vietata come violativa degli obblighi derivanti dall’art. 147 c.c. (che vanta a propria “copertura” l’art. 30 Cost.), il quale impone ai genitori di mantenere, istruire ed educare la prole “tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” (5). Maltrattare significa in questo caso disinteressarsi di tali inclinazioni ed aspirazioni, generando un quadro familiare segnato da sofferenza, frustrazione ed alienazione, e non dall’armonia e dalla protettività che deve contraddistinguere il nucleo familiare (6).

2. Avallando in punto di diritto le doglianze che il Pubblico Ministero manifestava nel suo ricorso (avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, che annullava l’ordinanza cautelare emessa nei confonti del soggetto agente nella parte in cui rinveniva i gravi indizi di colpevolezza con riguardo al maltrattamento attuato ai danni dei figli), la suprema Corte ritiene incluso nella offensività tipica della norma (art. 572 cit.) anche il comportamento omissivo del padre il quale, dolosamente e reiteratamente, fa assistere i propri figli al continuo maltrattamento perpetrato nei confronti della loro madre e non fa nulla per risparmiare a questi ultimi la deprecabile visione dei fatti e gli effetti che da essa possano derivare (7).
Si tratta, dal punto di vista oggettivo, di un complesso di condotte che avvengono contestualmente: da un lato, la vessazione diretta verso la donna concretizzatasi in atti commissivi anche se consistiti in violenza psicologica; dall’altro lato la indifferenza omissiva ‹‹frutto di una deliberata e consapevole insofferenza e trascuratezza verso gli elementari ed insopprimibili bisogni affettivi ed esistenziali dei figli stessi, nonché realizzati in violazione dell’art. 147 cod.civ., in punto di educazione e istruzione al rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare regolata dall’art. 30 della Carta costituzionale››. E’ evidente che le condotte maltrattanti rivolte nei confronti dei soggetti coinvolti devono tutte caratterizzarsi – oltre che per il profilo vessatorio – anche per il carattere doloso e per la ripetizione nel tempo; in particolare, il dolo non si struttura come anticipata progettazione o rappresentazione di tutti gli atti da porre in essere, ma come progressiva maturata consapevolezza che al loro esito verrà inflitta una ingiusta sofferenza ai soggetti passivi (8).

2.1. A ben vedere, giova riferirsi al ricorso del P.M., in cui sono opportunamente esplicate le ragioni per cui il fatto illecito va ad estendere la propria portata offensiva sino a contemplare gli interessi dei minori.
La prima motivazione va ricercata negli approdi più qualificati della scienza psico-pedagogica, secondo cui causa effetti distorti sulla serenità interiore del minore il fatto che egli assista ripetutamente alle violenze e ai soprusi domestici attuati da un genitore in danno dell’altro, tale situazione essendo in pieno contrasto con la naturale unità che dovrebbe caratterizzare un nucleo familiare. Solo una famiglia in cui si instaurino relazioni armoniche può costituire il fondamento per un corretto sviluppo della personalità dei minori e del loro equilibrio psichico.
La seconda ragione è prettamente giuridica: il ricorrente prende in considerazione l’art. 61 n. 11-quinquies cod. pen. (9), che aggrava la pena per il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. nel caso in cui lo stesso sia commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. L’inserimento di questa aggravante rappresenta senza dubbio una volontà legislativa di tenere in conto il turbamento psichico che deriva ai minori dall’essere esposti ad episodi violenti, sebbene rivolti a detrimento di altri (10).
A parere di chi scrive, bisognerebbe a questo punto porsi la seguente domanda: nel caso in cui si verificasse un concorso formale di delitti p. e p. ex art. 572 c.p. – l’uno in danno del minore, l’altro in danno del terzo – l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11-quinquies cod. pen. andrebbe applicata due volte o una sola volta?
La risposta dipende dalla valenza che si intende conferire alla locuzione ‹‹in presenza o in danno di un minore››, contenuta nel testo della circostanza menzionata.
Potrebbe, da un lato, ritenersi che il reato ai danni del terzo vada aggravato poiché compiuto “in presenza” del minore, ed il reato il cui soggetto passivo sia il minore vada pure aggravato poiché commesso “in danno” del medesimo. L’aggravante, infatti, ha una morfologia in grado di consentirle di operare con riferimento a molteplici fattispecie di maltrattamenti consumate in pregiudizio a soggetti diversi.
Tuttavia, pare più ragionevole ritenere che l’aggravante operi una sola volta, in particolare con riguardo al reato commesso “in danno” del minore, ed innestandosi sullo specifico reato di maltrattamenti che veda quest’ultimo assumere le vesti di soggetto passivo, onde evitare una doppia punizione del reo in ragione di un dato fattuale (la presenza del minore) che assumerebbe allo stesso tempo la valenza di elemento circostanziale e di elemento costitutivo del reato di maltrattamenti (circostanziale con riferimento ai maltrattamenti verso il terzo, costitutivo con riferimento ai maltrattamenti “indiretti” che abbiano attinto il minore).

3. In chiusura, si consideri che – pur essendo sostenibili le valutazioni giuridiche espresse dal p.m. ricorrente con riferimento alla astratta sussumibilità della “violenza assistita” dei minori nell’alveo dell’art. 572 c.p. – la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo ineccepibile la motivazione resa dal Tribunale delle libertà, non rinvenendo quest’ultimo – con riferimento alle condotte riguardanti i figli – gli elementi strutturali del reato di maltrattamenti.


(1) In dottrina, DE MASELLIS-GIORDANO, Violenza in famiglia. Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè, 2011, 130; CASSANI, La nuova disciplina dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. Spunti di riflessione, in Arch. pen., 3/2013, 17.
(2) Ex multis, Cass. pen., sez. VI, 22 dicembre 2010, n. 45037, in C.E.D. Cass., n. 249036; Cass. pen., sez. VI, 26 settembre 2003, n. 37019, in Cass. pen., 2004, 862; Cass. pen., sez. VI, 17 aprile 1996, n. 4015, ivi, 97, 1005.
(3) Per la nozione, si rinvia a MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, 2013, 511 e ss.
(4) POTENZA, Commette il delitto di maltrattamenti chi trascura la persona diversamente abile affidata alle sue cure, in Pareri di diritto penale, a cura di Ferrara-Potenza-Russo, Giuffrè, 2013, 273 s.; cfr. Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 9724, in C.E.D. Cass., n. 254472.
(5) Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 3419, in C.E.D. Cass., n. 235337.
(6) Per la punibilità degli atteggiamenti iperprotettivi, v. Cass. pen., sez. VI, 10 ottobre 2011, n. 36503, in C.E.D. Cass., n. 251050.
(7) cfr. LOSPINUSO, Reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli: la visione dell’attuale giurisprudenza, in www.penale.it, novembre 2012.
(8) FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, t. I, Zanichelli, 2011, 380; FACCI, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Ipsoa, 2009, 15 s.
(9) Introdotto dal decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modificazioni in legge 15 ottobre 2013, n. 119; si tratta di un’aggravante oggettiva: v. LICCI, Figure del diritto penale. Il sistema italiano, Giappichelli, 2013, 554.
(10) Relazione n. III.03.2013, Uff. Mass. Cass., in www.cortedicassazione.it; in dottrina, v. PULITANÒ, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, Giappichelli, 2014, 456; cfr. MENDITTO, La legge 119/13 in materia di contrasto alla violenza di genere, in Questione Giustizia, 21 ottobre 2013, pag. 4.