ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

Mobbing e diritto penale: un difficile connubio?

in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. VI, 6 giugno 2016 (ud. 26 febbraio 2016), n. 23358
Presidente Paoloni,Relatore Carcano

Torna d’attualità il tema della tutela penale del c.d. fenomeno del mobbing: chiamata a pronunciarsi su una vicenda in cui un dipendente era rimasto vittima di continue sfuriate, umiliazioni e comportamenti ostili e ridicolizzanti da parte del titolare di un’impresa, la Corte esclude la sussistenza dell’art. 572 c.p. nella vicenda in esame.

1.In primis, la sentenza non nega – almeno su un piano astratto – che le condotte di mobbing possano integrare gli estremi di cui all’art. 572 c.p. ma si cura di precisare come tale ipotesi possa ricorrere esclusivamente per le ipotesi lavorative compatibili con un contesto di c.d. “parafamiliarità” e non anche in una “realtà aziendale normale“.

In sostanza, il mobbing può assumere rilevanza penale ex art. 572 c.p. solo nel caso in cui le condotte vessatorie si inseriscano in un rapporto lavorativo di tipo para-familiare, ossia in un contesto lavorativo di ridotte dimensioni, in cui il rapporto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore subordinato si incardina sull’informalità e sulla fiducia: “In tal senso è costante la giurisprudenza di legittimità che da ultimo ha affermato ancora una volta che le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia

2.Peraltro, quasi contestualmente al deposito delle motivazioni della sentenza che si commenta, sempre la Cassazione ha pubblicato le motivazioni di una seconda sentenza, in cui, invece, si è ritenuto che le condotte vessatorie poste in danno a un lavoratore integrassero gli estremi del delitto di cui all’art. 572 c.p.

Orbene, tale discrasia è solo ovviamente apparente, dal momento che il soggetto vessato nella vicenda oggetto della seconda sentenza prestava la propria prestazione lavorativa in un contesto familiare, in cui si doveva interfacciare quotidianamente con i parenti dell’ex consorte: “Le pratiche persecutorie finalizzate all’emarginazione del lavoratore possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia quando il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. Non occorre, pertanto, che ricorrano le condizioni formali di sussistenza dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c.” (Cass. Pen., Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44589).

Tale orientamento, pertanto, conferma la tesi dell’applicazione del delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. alle sole ipotesi assimilabili alla parafamiliarità e proprio tale conferma potrebbe rafforzare ulteriormente l’orientamento giurisprudenziale (ad oggi maggioritario) che esclude la rilevanza penale delle condotte vessatorie sul luogo di lavoro nelle ipotesi di mobbing all’interno delle aziende di medio-grandi dimensioni.

Un orientamento certamente maggioritario ma che era stato messo in discussione da alcune sentenze di merito (Trib. Milano, Sez. Cassano d’Adda, 14 marzo 2012; Trib. Milano, 30 novembre 2011) e da un’influente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53416), la quale aveva precisato i contorni della c.d. parafamiliarità, precisando che “ai fini della sussumibilità nella fattispecie incriminatrice dei maltrattamenti nei confronti di lavoratori dipendenti, ex art. 572 c.p., l’esistenza di una situazione di para-familiarità – che si caratterizza per la sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari – e di uno stato di soggezione e subalternità del lavoratore va verificata avendo riguardo non al numero dei dipendenti in azienda, né alla durata del rapporto di lavoro, o alla direzione delle condotte discriminatorie nei confronti di una pluralità di soggetti ed alla reazione della vittima, bensì, da un lato, alle dinamiche relazionali in seno all’azienda tra datore di lavoro e lavoratore; dall’altro, all’esistenza o meno di una condizione di soggezione e subalternità”, senza che, ai fini della tutela penale, le dimensioni organizzative dell’azienda coinvolta potessero rivestire alcuna rilevanza.

Orbene, la tesi attualmente minoritaria presenta alcuni rilievi che meritano sicuramente di essere approfonditi.

A tal proposito, basti solo pensare che la struttura organizzativa di una multinazionale si articola di solito in più sedi territoriali, all’interno delle quali sono presenti Dipartimenti aziendali suddivisi in Uffici, composti da un contenuto numero di dipendenti, facenti capo a uno o più responsabili, spesso recanti funzioni dirigenziali e a stretto contatto solamente con i propri sottoposti, senza che vi sia alcun contatto (se non extra-lavorativo) con gli appartenenti ad altri Uffici.

Proprio all’interno degli Uffici, il numero di ore condivise e la gestione spesso comunitaria delle pratiche assegnate possono dare origine a una ristretta comunità lavorativa, creando così rapporti di parafamiliarità del tutto assimilabili ai rapporti sussistenti nelle imprese di piccole dimensioni e, pertanto, parrebbe privo di ogni ragionevolezza punire ex art. 572 c.p. tutte le condotte vessatorie avvenute in contesti aziendali ridotti e lasciare, al contempo, impuniti fenomeni del tutto analoghi, che hanno luogo all’interno di uffici Aziendali rientranti nell’organigramma di multinazionali sparse sul territorio.

3. In ogni caso, la sentenza qui in commento esclude tuttavia che il (deprecabile) fenomeno del mobbing lavorativo possa trovare tutela penale ex art. 572 c.p. al di fuori del rapporto di parafamiliarità,

D’altro canto, sempre tale orientamento precisa tuttavia che la mancata applicazione dell’art. 572 c.p. non esclude comunque che le condotte mobbizzanti siano tout court esenti da sanzione penale; infatti, ove sussistano gli estremi, le condotte vessatorie potranno integrare gli estremi di altre fattispecie penali: “A dispetto della riaffermazione del principio dell’astratta configurabilità del reato nelle condizioni date e a conferma della frequente affermazione d’inapplicabilità nelle fattispecie considerate, va, infatti, precisato che la figura di reato di cui all’art. 572 c.p. non costituisce la tutela penale del c.d. mobbing lavorativo, il quale, ove dante luogo a condotte autonomamente punibili (ingiurie, diffamazione, minacce, percosse, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, etc), trova nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio” (Cass. Pen., Sez. VI, 29 settembre 2015, n. 45077).

Proprio tale precisazione consente così di affermare una volta di più la correttezza del rilievo di attenta dottrina, la quale si era curata di precisare che il fenomeno del mobbing non aveva un contenuto ben delineato ma aveva una connotazione c.d. liquida, come un “legal framework” (cfr. MONATERI-BONA-OLIVA, Mobbing: Vessazioni sul lavoro, Giuffrè, 2000), ossia “una cornice che consente di unificare e collegare le diverse condotte in un unicum connotato da disvalore e rilevanza giuridica autonoma” (ALFANI, La rilevanza penale delle condotte di mobbing nelle aziende di grandi dimensioni, in Cass. Pen., 2016, f. 1, pp. 213 ss.), in cui proprio l’eterogeneità delle condotte vessatorie in cui può concretizzarsi il mobbing non trova tutela penale all’interno di un’unica fattispecie penale, ma, al contrario, troverà presidio in più figure di reato, a seconda dell’interesse tutelato e delle vessazioni concretamente poste in essere ai danni del dipendente coinvolto suo malgrado.

Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Miglio, Mobbing e diritto penale: un difficile connubio?, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8