ARTICOLIDIRITTO PENALE

Trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio: assorbimento o concorso di reati?

in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 4 – ISSN 2499-846X

Cassazione penale, Sez. II, 27 gennaio 2017 (ud. 12 gennaio 2017), n. 3935
Presidente Davigo, Relatore Sgadari

Con la pronuncia n. 3935 del 27 gennaio 2017, la Suprema Corte affronta il delicato rapporto intercorrente tra il reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/1992, conv. dalla l. 7 agosto 1992 n. 356, ed il reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter1 c.p., introdotto dalla l. 15 dicembre 2014, n. 186. Mediante l’introduzione di quest’ultima fattispecie incriminatrice si è superato, com’è noto, il cd privilegio di immunità per l’autoriciclaggio, in virtù del quale i reati di cui agli artt. 648 bis (riciclaggio) e 648 ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) c.p. non potevano essere attribuiti agli autori o concorrenti nel reato presupposto, alla luce del chiaro dato normativo. La stessa giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, ha costantemente affermato il medesimo principio di non punibilità. Anzi, giova ricordare che le Sezioni Unite (in questa rivista, articolo del 17 giugno 2014), con la pronuncia n. 25191 del 2014 sulla questione del concorso tra i delitti di cui agli artt. 648 bis c.p. o 648 ter c.p. ed il delitto ex art. 416 bis c.p. nei casi in cui la contestazione riguardi beni o utilità provenienti dal delitto di associazione mafiosa, hanno ribadito che l’unica ipotesi di “autoriciclaggio” al tempo configurabile fosse quella prevista dall’art. 12 quinquies d.l. 306/1992, conv. dalla l. 7 agosto 1992 n. 356. La questione su cui si è focalizzata la Suprema Corte nella sentenza 3935/17 investe, ora, il confronto tra il trasferimento fraudolento di valori e, appunto, l’autoriciclaggio.

Nella fattispecie concreta i due imputati, nell’esercizio della loro professione di avvocati, incaricati di recuperare un credito di oltre 16 milioni di euro vantato da un ente ecclesiastico nei confronti di una USL, con la complicità di due prelati appartenenti al citato ente e di un direttore di banca, si sono indebitamente appropriati di una parte considerevole di detta somma, compiendo altresì diverse operazioni di intestazione fittizia a terzi, così favorendo anche questi ultimi nel riciclaggio di parte della somma medesima, proveniente così dal reato di cui all’art. 646 c.p., per poi “polverizzare” l’intero importo con varie operazioni bancarie a ciò finalizzate, il tutto in danno dell’ente ecclesiastico.

Tra i motivi di ricorso in Cassazione figurava la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di trasferimento fraudolento di valori, dal momento che il ricorrente avrebbe commesso solo condotte di autoriciclaggio (con l’intestazione fittizia di somme a terzi ed il successivo rientro di esse nella disponibilità del medesimo), non rientranti nel paradigma dell’art. 12 quinquies d.l. 306/1992, e, perciò, non punibili all’epoca dei fatti in quanto precedenti all’introduzione dell’art. 648 ter1 c.p. Si sosteneva, in altri termini, la non punibilità delle condotte di trasferimento fraudolento di valori finalizzate all’autoriciclaggio, dal momento che tali condotte non sarebbero comprese nella norma di cui al predetto art. 12 quinquies. Sul punto, la Suprema Corte, nel dichiarare infondato il motivo di ricorso, ha sottolineato che la condotta di trasferimento fraudolento di valori compiuta dai ricorrenti era volta, in parte, ad agevolare l’autoriciclaggio delle somme incassate – per quanto rientrato nella loro personale disponibilità dopo l’interposizione fittizia a terzi – e, in altra parte, aveva agevolato il riciclaggio commesso da altro imputato. La Corte, a tal riguardo, ha rilevato come i ricorrenti non abbiano considerato la giurisprudenza di legittimità – precedente all’introduzione nell’ordinamento dell’art. 648 ter1 c.p. – secondo cui i fatti di autoriciclaggio sono punibili, sussistendone i relativi presupposti, ai sensi dell’art. 12 quinquies l. n. 356 del 1992 (Sez. Un. n. 25191 del 2014, già richiamate). Ciò al precipuo fine di non escludere dall’ambito della punibilità l’autore del reato presupposto, il quale, come nella fattispecie in esame, attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di beni od altre utilità – di cui rimanga effettivamente il dominus – per agevolarne una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo.

Ancora, con altro motivo di ricorso, si lamentava la violazione di legge in ordine alla mancata applicazione del reato di autoriciclaggio nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 ter1 comma 2 c.p., più favorevole rispetto al reato di trasferimento fraudolento di valori. L’assunto difensivo si basava sul fatto che il reato presupposto, ossia l’appropriazione indebita, prevede una pena massima inferiore a cinque anni di reclusione, non potendosi calcolare (così come invece ha fatto la Corte di Appello) le aggravanti comuni di cui all’art. 61 comma 1, n. 7 e 11 c.p. La rilevata prescrizione del reato ascritto, nel caso di specie, ha consentito di ritenere quasi del tutto assorbita la questione di una eventuale qualificazione delle condotte come autoriciclaggio, ai sensi dell’art. 648 ter1 comma 2 c.p., più favorevole rispetto al reato di cui all’art. 12 quinquies; ad ogni modo, già la Corte d’Appello aveva negato che il calcolo del massimo edittale della pena per il reato (presupposto) di appropriazione indebita potesse effettuarsi elidendo gli aumenti per le circostanze aggravanti, così da rientrare nell’ipotesi attenuata di autoriciclaggio evocata dai ricorrenti. L’assorbimento, precisa la Suprema Corte, deriva dalla valutazione in concreto che deve operare il giudice in ordine alla disciplina di cui all’art. 2 c.p. Soltanto in un caso invero la norma di cui all’art. 648 ter1 comma 2 c.p. potrebbe, in astratto, applicarsi agli imputati in quanto più favorevole rispetto alla declaratoria di intervenuta prescrizione: in particolare, laddove fosse sussistente la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 648 ter1 comma 4 c.p., in forza della quale “non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale“. Tuttavia, ciò presupporrebbe ammettere che, dopo l’introduzione nell’ordinamento giuridico del reato di autoriciclaggio, la condotta di cui all’art. 12 quinquies, se finalizzata al solo autoriciclaggio, (che peraltro non coprirebbe comunque, nel caso in esame, tutta l’estensione della condotta dei ricorrenti) sarebbe sussumibile nell’ambito della nuova fattispecie. Ciò tuttavia non corrisponde alle conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte che, invece, ha riconosciuto il concorso tra i due reati. La condotta di autoriciclaggio invero non presuppone e non implica che l’autore di essa ponga in essere anche un trasferimento fittizio ad un terzo dei cespiti rivenienti dal reato presupposto: questo è un elemento ulteriore, che l’ordinamento intende punire (e continua a punire) ai sensi dell’art. 12 quinquies l. n. 356 del 1992; trattasi di un elemento che, proprio in quanto coinvolge un terzo soggetto – il quale deve aver funto da prestanome del dante causa autore del reato presupposto – non può neanche ricomprendersi tra quelle “altre operazioni” idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, indicate nella norma di cui all’art. 648 ter1 c.p. e riferibili al solo soggetto agente (ovvero a chi si muova per lui senza aver ricevuto autonoma investitura formale). Inoltre, continua la Corte, è evidente che le due violazioni della legge penale intervengono in momenti cronologicamente distinti, ad ulteriore dimostrazione della loro diversità: l’autore del reato presupposto, dapprima, compie l’operazione di interposizione fittizia per poi, successivamente, determinarsi in favore dell’autoriciclaggio, senza il quale la condotta sarebbe punibile solo per il reato di cui all’art. 12 quinquies l. n. 356 del 1992. In ogni caso, nel caso di specie, l’applicazione della causa di non punibilità sarebbe da escludere. Essa infatti, mutuando le espressioni utilizzate dalla Corte, rimanda a situazioni di fatto ben lontane dagli investimenti milionari dei due imputati, caratterizzati da una serie di operazioni finanziarie speculative certamente non assimilabili alla “mera utilizzazione” o al “godimento personale“.

Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Aliatis, Trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio: assorbimento o concorso di reati?, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 4