ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici nel caso di formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico in realtà inesistente

Cassazione Penale, Sez. V, 6 febbraio 2018 (ud. 18 gennaio 2018), n. 5452
Presidente Sabeone, Relatore Amatore

In tema di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, si segnala la pronuncia con cui la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo cui integra il reato di cui all’art. 476 cod. pen. la formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico invero inesistente in originale.

Nel ribadire tale principio, la Corte si è posta in consapevole contrasto con l’orientamento secondo cui “l’alterazione di copia informale di un atto pubblico non integra il reato di cui agli artt. 476 – 482 cod. pen., che sussiste solo in presenza dell’alterazione di copie autentiche di atti pubblici, né il meno grave reato di cui all’art. 485 cod. pen., che ha ad oggetto la falsificazione delle scritture private” (in tal senso, v. Sez. II, n. 42065 del 3 novembre 2010).

Ritiene tuttavia il collegio di dover aderire – si legge nella sentenza – a quella giurisprudenza, maggioritaria, secondo cui integra il reato di cui all’art. 476 cod. pen. la formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente, del quale si intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori, perché l’atto è idoneo a trarre in inganno la pubblica fede.

Secondo il collegio, tale orientamento è da preferire in quanto l’esistenza di una fotocopia avente il contenuto apparente di un atto pubblico dimostra che tale atto presupposto è stato contraffatto, per poterne trarre una copia fotostatica, ovvero che è stato alterato un documento pubblico esistente. In ogni caso, affinché sussista il reato in esame non è affatto necessario che vi sia un intervento materiale su un atto pubblico, essendo sufficiente che attraverso la falsa rappresentazione della realtà operata dalla fotocopia tale atto appaia esistente, con lesione della pubblica fede.

Per tale motivo, deve ritenersi integrare il reato di cui all’art. 476 c.p. anche l’alterazione compiuta sulla fotocopia di un atto pubblico esistente, ovvero il fotomontaggio di più pezzi di atti veri, ovvero ancora la creazione artificiosa di una fotocopia di un atto inesistente. A tal fine – conclude la Corte – è del tutto indifferente che la copia sia autentica (nel qual caso vi sarebbe piuttosto un falso ideologico del soggetto certificante), tanto più quando la provenienza dell’atto e le circostanze del suo utilizzo ne facciano presumere la conformità all’originale e dunque inducano il privato a ritenere che tale atto pubblico originale sia esistente. La falsità, invero, è integrata non tanto e non solo dalla modificazione di una realtà probatoria preesistente (che nel caso di specie non c’è), ma anche dalla mendace e attuale rappresentazione di una siffatta realtà probatoria, creata appunto attraverso un simulacro o una immagine cartolare di essa (fotocopia o anche fotomontaggio), che è intrinsecamente idonea a ledere (e lede) il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, costituito dalla pubblica affidabilità di un atto, qualunque esso sia, proveniente dalla pubblica amministrazione.

Redazione Giurisprudenza Penale

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