ARTICOLIDiritto PenitenziarioTesi di laurea

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti: rilievi e prospettive del garante europeo dei diritti delle persone detenute (Tesi di laurea)

Prof. Relatore: Franco Della Casa

Ateneo: Università degli Studi di Genova

Anno accademico: 2015-2016

In Europa il contrasto alla tortura si è sviluppato con particolare incisività a partire dalla seconda metà del XX Secolo, mediante il ricorso a strumenti internazionali –trattati, dichiarazioni, convenzioni, organismi di tutela creati ad hoc- deputati a bandire ogni forma di trattamento lesivo della dignità umana.

La lotta internazionale contro la tortura si colloca sulla scia delle carte internazionali dei diritti che affermano il principio di intangibilità della dignità umana, intesa come qualità insopprimibile, irrinunciabile e inalienabile inerente ogni essere umano, e che impone a ciascun altro individuo di rispettarne l’integrità morale e fisica.

La tortura, per l’appunto, rappresenta l’archetipo della violazione della dignità umana perpetrata nei confronti delle persone soggette all’autorità pubblica. Nella concezione contemporanea comunemente accettata, infatti, la tortura non si caratterizza come mera violenza fisica o psicologica, ma consiste nel degradamento, nell’umiliazione e nell’annientamento dell’individuo.

A livello internazionale e, specialmente a livello regionale-europeo, la lotta alla tortura e ai trattamenti vietati ha trovato compiuta espressione negli strumenti tipici del diritto internazionale. Il divieto assoluto della tortura è stato, così, sancito nelle principali dichiarazioni e carte dei diritti -particolarmente significative la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e le Convenzioni, Universale ed Europea, contro la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti-, nonché negli atti normativi dell’Unione Europea.

L’attività del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, istituito dal Consiglio d’Europa sul finire degli anni ’80, si inserisce in tale solco con il proposito di aumentare il tasso di effettività del divieto assoluto di tortura e dei trattamenti vietati in Europa. Il CPT è uno strumento non giudiziario e di prevenzione che svolge attività di monitoraggio nei luoghi di reclusione, con accesso illimitato a tutte le strutture, presenti sul territorio nazionale degli Stati membri, nelle quali venga eseguita una qualsiasi forma di privazione della libertà personale ad opera di un’autorità pubblica.

Il principio di prevenzione sotteso al funzionamento del CPT si fonda sul convincimento che l’eventualità della tortura e dei trattamenti degradanti o inumani si possa ridurre esponendo i luoghi di detenzione a visite non preannunciate da parte di esperti internazionali, i cui rilievi e le cui raccomandazioni formino il presupposto di un dialogo costruttivo con gli Stati teso a favorire il conseguimento di quegli obiettivi ed il ripristino della legalità mediante la garanzia in concreto dei diritti delle persone detenute. La “strategia della prevenzione”, infatti, muove dalla consapevolezza che lo strumento del controllo giurisdizionale -pur imprescindibile nell’affermazione dei diritti e nella condanna delle condotte vietate- si rivela spesso insufficiente, in quanto tardivo e non satisfattivo. Infatti, la tutela giudiziaria nella sfera dei diritti umani costituisce il più delle volte un mero palliativo, a fronte di violazioni che per la natura del bene colpito -la dignità umana, l’integrità psico-fisica di un individuo- sono in larga misura irrimediabili.

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, attraverso la sua prerogativa di accesso ai luoghi di detenzione ed il ventaglio di competenze sviluppate sui temi della reclusione, costituisce ad oggi l’organismo europeo impegnato precisamente in questa direzione: promuovere l’effettività di quei diritti e di quelle garanzie delle persone detenute che sono affermati nelle dichiarazioni e nelle convenzioni internazionali sui diritti umani e che, altrimenti, rischiano inesorabilmente di degradare a mere raccolte di (pur nobili) propositi.

A guidare l’attività degli ispettori europei vi sono tre principi.

La prevenzione, la quale si concretizza nel compito istituzionale demandato agli ispettori europei: visitare ed osservare i luoghi di detenzione e le pratiche detentive in essi adottate, con l’obiettivo di individuare non tanto gli atti di tortura o di maltrattamento in atto o già verificatisi, quanto di riconoscere le criticità esistenti nel contesto detentivo e che si pongano come elementi prodromici e facilitatori di detenzioni contrarie alla dignità umana o che possano favorire l’insorgere di trattamenti vietati.

La cooperazione, la quale descrive il tipo di relazione tra il CPT e gli Stati membri: il Comitato, infatti, non ha funzioni giurisdizionali e di accertamento delle violazioni dell’art. 3 CEDU –compito demandato, invece, alla Corte di Strasburgo- ma si pone a fianco degli Stati per favorire soluzioni dialogate per l’innalzamento degli standard detentivi e, in generale, per l’implementazione degli ordinamenti nazionali sotto il precipuo profilo degli strumenti di contrasto alla tortura. Tale collaborazione con gli Stati ha portato, nel corso del tempo, il Comitato all’elaborazione di dettagliate linee-guida -formalizzate nei cc.dd. “Standard di detenzione”- a favore delle amministrazioni statali centrali e periferiche, al fine di promuovere l’adozione delle migliori pratiche detentive compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

La riservatezza, infine, -contrappeso al penetrante potere di accesso di cui gode l’organismo sovranazionale- impone che le relazioni finali redatte dagli ispettori in esito ai sopralluoghi e che contengono le criticità e la revisione delle misure di contrasto auspicate dal Comitato, possano essere pubblicate soltanto con il consenso dello Stato interessato.

Il sistema europeo di lotta alla tortura costituisce, senz’altro, un unicum sulla scena internazionale. Nessun altro sistema regionale di tutela dei diritti fondamentali, infatti, può fare  affidamento sull’attività congiunta di un organo giurisdizionale –quale la Corte Europea-, con funzioni di accertamento e repressione delle condotte vietate, e di un organismo di monitoraggio e prevenzione quale è il CPT che, sul tema specifico della lotta alla tortura, opera in funzione di “sentinella” della condizioni detentive contrarie alla dignità umana e all’integrità psico-fisica dei soggetti che soffrono a vario titolo una privazione della libertà personale.
Deve riconoscersi che l’attività del Comitato Europeo ha contribuito –a fianco del decisivo apporto della Corte di Strasburgo- ad innalzare il livello di tutela dei diritti fondamentali delle persone recluse, anticipando la soglia oltre la quale un individuo deve considerarsi vittima di tortura o degli equiparati trattamenti vietati.

Tale maturata sensibilità degli organismi europei ha consentito di approntare livelli di tutela uniformi tanto per le situazioni di vera e propria tortura, quanto per quelle forme di maltrattamento non deliberato o volontariamente messo in atto mediante condotte attive puntuali, ma che piuttosto sono conseguenza diretta delle omissioni e delle carenze degli apparati di giustizia statali e che, proprio per questo, sono il più delle volte maggiormente diffuse sul territorio e comunemente accettate -si pensi, per esempio, alla nota problematica del sovraffollamento carcerario.

A trent’anni dall’istituzione del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, il suo mandato resta attuale e la sua funzione avvertita come necessaria. Una delle più interessanti linee di sviluppo già intraprese dal Comitato, ma che necessita ancora di potenziamenti, è quella delle sinergie promosse dall’organismo europeo con gli organismi di monitoraggio nazionali e locali – Ombudsman, Garanti nazionali, Difensori civici. Questi, infatti, forti della prossimità ai luoghi di detenzione nazionali e della più circoscritta area di competenza loro riservata, sono in grado di garantire un più costante monitoraggio e una più sistematica raccolta di informazioni circa lo stato dei luoghi e delle persone private della libertà personale sul suolo nazionale e, non meno importante, di verificare i passi in avanti fatti registrare dai sistemi detentivi nazionali. L’efficacia del sistema di prevenzione europeo potrà, in prospettiva, trarre benefici dall’interlocuzione con i meccanismi di monitoraggio nazionale e aumentare al contempo la propria “capillarità”, se gli stessi organismi e il Comitato sapranno instaurare un dialogo continuo ed una fattiva sinergia, senza rinunciare alla rispettiva indipendenza.