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Dentro la prigione della prigione. Un’introduzione.

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 1-bis – ISSN 2499-846X

Provare a guardare dentro il 41-bis, come invita a fare il titolo di questo volume collettivo, è un’impresa scientifica difficile e necessaria.

Perché difficile? Per spiegarlo si possono prendere in prestito le parole con le quali Maurizio Torchio descriveva l’isolamento: in fondo anche il 41-bis è «la prigione della prigione. Perché ogni posto deve avere una prigione. Se sei già all’ospedale e ti senti male, cosa fanno? Ti mettono in terapia intensiva, che è l’ospedale dell’ospedale. Se sei in prigione e vogliono punirti è uguale: deve esserci qualcosa. Dev’esserci sempre qualcosa da togliere, altrimenti tutto si ferma».

A livello dommatico sappiamo che il regime differenziato non serve a punire di più, ma a prevenire «contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad esse alleate».

Nella prassi, tuttavia, le cose sono più sfumate ed è indispensabile interrogarsi e cercare di capire fino a che punto norme, disposizioni amministrative e quotidianità detentiva rimangano all’interno del recinto costituzionale e convenzionale della prevenzione o, invece, straripino nel terreno di un rigorismo afflittivo dal sapore unicamente dimostrativo. È questa la sottile linea di confine lungo la quale si gioca il destino di un istituto cruciale nel contrasto della criminalità organizzata.

Per cimentarsi con tali domande è importante un approfondimento dottrinale, una ricognizione adeguata del diritto positivo e dei cardini costituzionali sui quali si impernia il c.d. «carcere duro»; quella teoria, dunque, intesa alla greca maniera come capacità di osservare dall’alto e dall’esterno, unico metodo per allineare principi e regole. Ma è anche indispensabile – necessario, appunto – vedere dentro alle cose, immergersi nella realtà, cercare di afferrare quale sia, oggi, la vita di un detenuto sottoposto a regime differenziato.

La sintesi delle due prospettive, questa doppia scala baconiana che dall’astratto scende al concreto e dall’esperienza empirica risale a un rinsaldato e propositivo ragionamento sulle norme e sulla giurisdizione, è proprio l’ambizioso obiettivo di questo lavoro.

Si tratta, oltre che di prospettive, di campi visivi che devono stare assieme, contaminarsi di continuo. Troppo alto è il rischio, a separarli e scinderli, che la legge si rispecchi soltanto nella legge, come ammoniva Leonardo Sciascia. Come giuristi e operatori del diritto corriamo sempre questo pericolo. Anche la giurisprudenza di legittimità, che pure in questi ultimi anni ha scrutinato in modo più rigoroso il regime differenziato, non risulta immune. Qualche esempio tratto dalle storie minute del regime differenziato può chiarire il senso di quello che si vuole qui intendere.

Come citare il contributo in una bibliografia:
R. De Vito, Dentro la prigione della prigione. Un’introduzione, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 1-bis