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Applicazione retroattiva della “spazzacorrotti”: depositata la sentenza n. 32 del 2020 della Corte Costituzionale

Corte costituzionale, Sentenza 26 febbraio 2020 (ud. 12 febbraio 2020), n. 32
Presidente Cartabia, Relatore Viganò

Era prevista per il 12 febbraio 2020 l’udienza davanti alla Corte Costituzionale sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla applicazione retroattiva della legge 9 gennaio 2019 n. 3 (cd. Spazzacorrotti) in tema di divieto di concessione di benefici e misure alternative alla detenzione.

Come avevamo anticipato, all’esito dell’udienza del 12 febbraio, la Corte aveva pubblicato un comunicato stampa con il quale annunciava di aver ritenuto costituzionalmente illegittima, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna, l’interpretazione secondo cui le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione potrebbero essere applicate retroattivamente (principio che effettivamente era stato applicato anche con riferimento alla stessa legge spazzacorrotti): secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione.

Con sentenza n. 32 del 2020 – depositata il 26 febbraio 2020 – la Corte Costituzionale ha:

1) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale;

2) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell’entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso;

3) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Taranto con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 157 del 2019).

Questo il testo del comunicato stampa pubblicato sul sito della Corte Costituzionale in data 26 febbraio 2020:

Se al momento del reato è prevista una pena che può essere scontata fuori” dal carcere ma una legge successiva la trasforma in una pena da eseguire “dentro” il carcere, quella legge non può avere effetto retroattivo. Tra il “fuori” e il “dentro” vi è infatti una differenza radicale: qualitativa, prima ancora che quantitativa, perché è profondamente diversa l’incidenza della pena sulla libertà personale.

È sul filo di questo ragionamento che, con la sentenza n. 32/2020 depositata oggi (relatore Francesco Viganò), la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della legge n. 3/2019 (cosiddetta Spazzacorrotti) là dove estende alla maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni alle misure alternative alla detenzione, già previste dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario per i reati di criminalità organizzata (si veda il comunicato stampa del 12 febbraio 2020).

La decisione è il risultato di una rimeditazione del tradizionale orientamento, sinora sempre seguito dalla Cassazione e dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell’esecuzione della pena, e non a quella in vigore al momento del fatto.

Nella sentenza si legge che il principio sancito dall’articolo 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere punito con una pena non prevista al momento del fatto o con una pena più grave di quella allora prevista, opera come “uno dei limiti al legittimo esercizio del potere politico, che stanno al cuore stesso del concetto di Stato di diritto”.

Pertanto, se, di regola, è legittimo che le modalità esecutive della pena siano disciplinate dalla legge in vigore al momento dell’esecuzione e non da quella in vigore al momento del fatto (anche per assicurare uniformità di trattamento tra i detenuti), ciò non può valere, sottolinea la sentenza, “allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”.

La “Spazzacorrotti” ha reso assai più gravose le condizioni di accesso alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione condizionale, sicché non può essere applicata retroattivamente dai giudici. Identiche considerazioni valgono per il meccanismo processuale della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in caso di condanna a non più di quattro anni per chiedere al tribunale di sorveglianza l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione.

Pertanto, dopo aver rilevato che la legge n. 3/2019 non contiene alcuna disciplina transitoria, la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma della “Spazzacorrotti” “in quanto interpretata” nel senso che le modificazioni da essa introdotte si applichino anche ai condannati per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.

I principi così sanciti non riguardano i permessi premio e il lavoro all’esterno, che quindi continuano ad essere regolati dalla legge in vigore al momento dell’esecuzione della pena. Tuttavia, la Corte ha chiarito che questi benefici non possono essere negati ai detenuti che abbiano già svolto un proficuo percorso rieducativo.

Redazione Giurisprudenza Penale

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