ARTICOLIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANOResponsabilità degli enti

Responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/2001, infortuni sul lavoro e ruolo dell’Odv: la colpa di organizzazione deve essere rigorosamente provata e non confusa (o sovrapposta) con la colpevolezza del responsabile del reato. 

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Cassazione Penale, Sez. IV, 10 maggio 2022 (ud. 15 febbraio 2022), n. 18413
Presidente Dovere, Relatore Ranaldi

In tema di responsabilità degli enti ex D. Lgs. 231/2001 e omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25-septies),  segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla necessità che la colpa di organizzazione – la quale rappresenta uno degli elementi costitutivi dell’illecito dell’ente – sia rigorosamente provata e non confusa (o sovrapposta) con la colpevolezza del responsabile del reato.

La Corte prende le mosse osservando come «l’assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente, tali essendo, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente (cd. immedesimazione organica “rafforzata”), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due».

Ciò chiarito, con specifico riferimento al caso di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25-septies D. Lgs. 231/2001), la Corte osserva come gli aspetti che riguardano le dotazioni di sicurezza e i controlli riguardanti il macchinario specifico sul quale si è verificato l’infortunio «attengano essenzialmente a profili di responsabilità del soggetto datore di lavoro; quindi, a profili colposi degli amministratori della società cui è stato addebitato il reato, in relazione alla riscontrata violazione della normativa per tutela della sicurezza sul lavoro. Tali profili, di per sé, nulla hanno a che vedere con l’elemento “colpa di organizzazione”, che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo imputabile all’ente; tale elemento costituisce, per così dire, un modo di essere “colposo”, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all’ente di commettere il reato».

In tale prospettiva, «l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo».

Nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente – prosegue la Corte – «le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/01. La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito all’ente, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui)».

In conclusione, «la sentenza impugnata appare affetta da evidenti errori in diritto, in quanto ha offerto una inammissibile lettura della norma di cui all’art. 25-septies, in base alla quale l’affermazione della responsabilità dell’ente consegue indefettibilmente alla sola dimostrazione della sussistenza del reato presupposto e del rapporto di immedesimazione organica dell’agente; il tutto, fra l’altro, attribuendo all’organismo di vigilanza compiti incardinati nel sistema di gestione della sicurezza (dei macchinari aziendali) del tutto estranei ai compiti che l’art. 6 d.lgs. n. 231/2001 assegna a tale organismo, che sono quelli di sorvegliare e verificare la funzionalità e l’osservanza dei modelli organizzativi».

Redazione Giurisprudenza Penale

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