Lesioni aggravate dagli artt. 576 c.1 n. 5 (in relazione alla violenza sessuale) e 5.1 (stessa persona offesa dello stalking): il Tribunale di Bologna esclude la sussistenza di un reato complesso
Tribunale di Bologna, Sez. II penale, 7 febbraio 2023 (ud. 10 gennaio 2023), n. 21
Presidente ed estensore dott. Fabio Cosentino
Segnaliamo ai lettori la sentenza con cui il Tribunale di Bologna si è pronunciato su un caso di lesioni aggravate soffermandosi, in particolare, sulle circostante aggravanti di cui agli artt. 576 comma 1 n. 5 (“se il fatto è commesso in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 583 quinquies, 600 bis, 600 ter, 609 bis, 609 quater e 609 octies“) e 576 comma 1 n. 5.1 (“se il fatto è commesso dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa“) e sulla sussistenza o meno di un reato complesso.
Quanto alla prima – che veniva in rilievo con riferimento al reato di cui all’art. 609-bis c.p. (violenza sessuale) – il Tribunale ha escluso la sussistenza di un reato complesso (senza, dunque, che possa predicarsi l’assorbimento della violenza sessuale nelle lesioni aggravate dalla contestualità con il predetto reato) aderendo all’orientamento secondo cui «quando difetta la stretta contestualità tra le condotte sessualmente violenze e quelle lesive, trova spazio autonomo la circostanza aggravante in discorso, la quale richiede unicamente un nesso di occasionalità; in altri termini, in difetto di contestualità delle condotte, la mera occasionalità tra le lesioni e i reati indicati non può determinare l’applicazione dell’art. 84 c.p., ma piuttosto dell’art. 81 c.p.».
Nel caso in esame – si legge nella sentenza – «va senza dubbio ravvisato un semplice legame di occasionalità tra la violenza sessuale e la successiva lesione, essendoci tra le due condotte una netta censura: prima l’imputato compie il gesto repentino nelle parti intime della persona offesa e poi, ormai soddisfatto l’interesse che lo aveva mosso ad agire, trascina la sua vittima in bagno e provoca alla stessa lesioni».
Il Tribunale è giunto alle medesime conclusioni anche con riferimento alla seconda aggravante di cui all’art. 576 comma 1 n. 5.1 (“se il fatto è commesso dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612 bis nei confronti della stessa persona offesa“).
Dopo aver richiamato quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite (secondo cui «la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma di delitto aggravato ai sensi degli artt. 575, 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra, in ragione dell’unitarietà del fatto, un reato complesso ai sensi dell’art. 84, primo comma, cod. pen.»), il Tribunale ha osservato come vi siano, nel caso di specie, «plurimi argomenti per discostarsi da tale insegnamento e, dunque, per negare l’assorbimento degli atti persecutori nell’aggravante contestata, stante la profonda diversità del contesto applicativo e l’assurdità nelle conseguenze cui altrimenti si giungerebbe».
Anzitutto – osserva il Tribunale – «va osservato che l’assorbimento del reato di cui all’art. 612 bis c.p. nelle lesioni aggravate ex arti. 585 e 576, co. 1 n. 5.1 c.. comporterebbe l’irrogazione di una pena irragionevole per difetto. Risulterebbe, infatti, applicabile la esigua cornice edittale di cui all’art. 582 c. p. (reclusione da sei mesi a tre anni), aumentabile soltanto da un terzo alla metà, con conseguente pena massima di quattro anni e sei mesi di reclusione, che neppure lontanamente si avvicina al massimo edittale degli atti persecutori (pari a sei anni e sei mesi di reclusione). Da ciò conseguirebbe peraltro un incentivo per l’autore del reato di cui all’art. 612 bis c.p. a commettere il reato di lesioni, in modo da garantirsi così l’applicazione della più favorevole cornice edittale di cui sopra».
Tale irragionevolezza in astratto della pena – prosegue la pronuncia – «assume connotati di ancor maggiore insostenibilità se confrontata con l’intenzione del legislatore del 2009, il quale con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38. ha inteso – come si legge nei lavori preparatori, richiamati dalla stessa citata sentenza delle Sezioni Unite – fronteggiare l’allarmante fenomeno della commissione di omicidi in danno delle vittime di atti persecutori con adeguato rigore sanzionatorio (e non di certo svilendo la pena irrogabile in ipotesi affini)».
Inoltre, ad avviso dei giudici «l’assorbimento va altresì escluso poiché – come riconoscono le stesse Sezioni Unite in un obiter – la prospettiva finalistica degli atti persecutori è il condizionamento e l’annientamento della personalità della vittima, progressivamente limitata ed impedita nell’esercizio della sua libertà di determinazione, e l’omicidio ne è il risultato estremo. Diversamente, le lesioni ben possono risultare “collaterali all’azione del soggetto agente, che ha la sua mira essenziale nel controllo e nell’appropriazione della vita quotidiana della persona offesa».
Pertanto, «difetta in relazione alle lesioni quel legame che viceversa lega gli atti persecutori e l’omicidio, che rappresenta l’atto ultimo e definitivo, tanto grave da essere idoneo a fotografare, insieme con la circostanza aggravante, l’intero disvalore della vicenda (cui risulta infatti applicabile la pena dell’ergastolo). La lesione è, invece, evento solo connesso e dunque complementare, il quale risulta nondimeno di maggiore gravità in quanto commesso in un contesto relazionale di abituale persecuzione, con conseguente integrazione della circostanza in esame, che non richiede, ai fini della sua sussistenza, il presupposto prima descritto della progressione sino a un evento irreversibile».