Sui rapporti tra impugnativa dell’informativa antimafia e richiesta di ammissione al controllo giudiziario
Cassazione Penale, Sez. VI, 13 novembre 2024 (ud. 17 settembre 2024), n. 41799
Presidente Fidelbo, Relatore Gallucci
Segnaliamo ai lettori, in tema di controllo giudiziario “volontario” (art. 34 bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011) e impugnativa dell’informativa antimafia, la sentenza con cui la sesta sezione penale si è pronunciata sulla questione relativa al fatto che l’accertamento dei presupposti per l’ammissibilità al controllo giudiziario debba necessariamente svolgersi in sede amministrativa (ossia con l’informativa prefettizia antimafia e gli eventuali rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo).
Più in particolare, la Corte territoriale aveva confermato il decreto con il quale era stata respinta la richiesta formulata dalla società di essere ammessa al controllo giudiziario ex art. 34 bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011 ravvisando, nello specifico, una «radicale incompatibilità tra l’asserita esclusione di infiltrazioni mafiose (fondamento dell’impugnativa dell’appellante proposta in sede di giustizia amministrativa avverso l’informativa prefettizia antimafia) e l’istanza di controllo giudiziario che, per espressa previsione di legge, richiede il contatto mafioso occasionale e il pericolo concreto di infiltrazione mafiosa idonea a condizionarne l’attività (presupposti di cui l’appellante per mezzo del ricorso innanzi al TAR nega recisamente la sussistenza)».
La giurisprudenza – si legge nella sentenza – aveva già osservato come, «in materia di misure di prevenzione, quando sia formulata richiesta di controllo giudiziario, ex art. 34-bis, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, su iniziativa della parte pubblica, la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione, in funzione di un controllo cd. prescrittivo, mentre nel caso di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva, che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell’ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l’esercizio dell’impresa».
Tale principio era stato successivamente ripreso da altra sentenza della sesta sezione (Sez. 6, n. 22395 del 06/04/2023 C.L.P. Sviluppo Industriale S.p.a.), la quale aveva evidenziato che «l’impresa assoggettata alla interdittiva, sia che rivendichi la mera occasionalità dell’agevolazione, sia che sostenga, replicando le difese svolte in sede ammnistrativa, di essere integralmente estranea alla stessa, una volta esclusa la stabilità della relativa infiltrazione, merita comunque di avvalersi della misura e degli effetti neutralizzanti della decisione amministrativa che essa garantisce, nelle more della definizione del giudizio amministrativo. Ragionando diversamente, il giudice della prevenzione, a fronte di una comprovata indifferenza del relativo ciclo produttivo e imprenditoriale rispetto alle ingerenze della criminalità, dovrebbe negare all’ente richiedente di avvalersi della situazione privilegiata dal legislatore; e ciò a fronte di una prospettiva di bonifica aziendale all’evidenza favorite dalla situazione riscontrata, risultando la situazione paventata dal provvedimento prefettizio comunque cautelata dagli strumenti di controllo conseguenti alla misura».
In senso difforme, si è però sostenuto (Sez. 1, n. 15156 del 23/11/2022 – dep. 11/04/2023, M&M Servizi S.r.l.) che «ad essere ostativa all’accoglimento della domanda di controllo ‘volontario’ è, da un lato, la constatazione (da parte del Tribunale della prevenzione) della esistenza di una condizione di agevolazione «perdurante» dell’impresa a vantaggio di realtà organizzate, inquadrabili come realtà associative di stampo mafioso, se ed in quanto tale condizione – al momento della domanda di ammissione – renda negativa la prognosi di ‘riallineamento’ dell’impresa a condizioni operative di legalità e competitività. Al contempo, è ostativa all’ammissione la constatazione di ‘assenza della relazione’ (anche pregressa) tra azienda ed organizzazione criminale esterna»..
Di tale contrasto giurisprudenziale è consapevole il Procuratore generale che, nella sua requisitoria scritta, rileva che – pur potendosi ravvisare una certa distonia tra le previsioni normative della possibile impugnativa dell’informativa antimafia e la richiesta di ammissione al controllo giudiziario – nondimeno «proprio l’esistenza di una antinomia apparente, da risolvere con l’interpretazione sistematica e teleologica delle norme non sembra colta dal provvedimento impugnato che, a fronte di una negazione dell’agevolazione, anche occasionale, coerente con la (necessaria) impugnazione dell’interdittiva, in radice esclude l’assoggettabilità al controllo, laddove proprio per evitare tale cortocircuito, nonostante l’affermazione di parte dell’estraneità al sodalizio mafioso, l’impresa può chiedere comunque l’assoggettamento al controllo ove il giudice ne ravvisi l’esistenza e ciò allo scopo di continuare svolgere in modo “controllato” l’attività di impresa, in tutto o in parte inibita dall’interdittiva antimafia».
Ritiene il Collegio – si legge nella sentenza – «che la soluzione ermeneutica corretta sia quella indicata dal PG, apparendo pienamente condivisibili le argomentazioni contenute nella sentenza “L.C.P.”, sopra riportate. D’altronde, ragionando nel senso indicato dalla Corte napoletana (le cui argomentazioni trovano supporto nell’altro orientamento della giurisprudenza di legittimità che non si ritiene accoglibile), a fronte della informativa antimafia, la società per poter formulare la richiesta del controllo giudiziario – che consente la prosecuzione dell’attività con una serie di limiti e controlli salvaguardando così la continuità aziendale – dovrebbe fare acquiescenza al provvedimento amministrativo, conclusione, questa, non ricavabile dalla disciplina normativa e che determinerebbe una indubbia lesione del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.».