Processo Regeni e principio “locus regit actum”: la Corte di Assise di Roma dichiara la nullità di un verbale di interrogatorio per contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento
Corte di Assise di Roma, Sez. I, Ordinanza, 27 maggio 2025
Presidente dott.ssa Paola Roja, Giudice dott.ssa Paola Della Vecchia
Segnaliamo ai lettori, con riferimento al processo Regeni, l’ordinanza con cui la Corte di Assise si è pronunciata sulla nullità – per contrarietà ai principi generali dell’ordinamento (italiano ed egiziano) – di un verbale di interrogatorio reso all’estero (di fronte a magistrati egiziani) a seguito di rogatoria avanzata da magistrati italiani.
Più nel dettaglio, la Corte di Assise era chiamata a pronunciarsi sulla richiesta, avanzata dal PM, di acquisire, ex art. 512-bis c.p.p. (“lettura di dichiarazioni rese da persona residente all’estero“), il verbale di “interrogatorio” di un agente di polizia in servizio presso la Direzione di Sicurezza Nazionale, il quale, dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati italiano – e dopo essere stato ascoltato dai magistrati egiziani incaricati a seguito di rogatoria richiesta dalla Procura di Roma – era stato destinatario di un provvedimento di archiviazione.
I giudici della Corte di Assise hanno dichiarato il verbale di “interrogatorio” nullo «perché reso in violazione dei principi generali dell’ordinamento italiano e di quello egiziano e, dunque, non acquisibile, anche al di là della sussistenza dei presupposti formali e sostanziali evocati dal Pubblico Ministero a sostegno della richiesta ex art 512 bis c.p.p.»
In tema di rogatoria internazionale – si legge nell’ordinanza – «trovano, infatti, applicazione le norme del codice di rito dello Stato in cui l’atto viene compiuto, con l’unico limite che la prova non può essere acquisita in contrasto coi principi fondamentali e inderogabili dell’ordinamento giuridico italiano».
Nel caso di specie, «la nullità del verbale di “interrogatorio” si ricava dalla violazione del generale principio ‘nemo tenetur se detegere’, massima del garantismo processuale accusatorio italiano, che, sebbene non espressamente sancito nella Carta costituzionale, è ricavabile dall’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 c. 2 Cost), dal diritto dell’imputato al rispetto della sua libertà morale (desumibile dagli artt. 2 e 13 Cost), dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27 c. 2 Cost), nonché dalla nozione di giusto processo (art. 111 Cost)».
Vero è – prosegue la Corte – «che alcune pronunce giurisprudenziali escludono che le norme inderogabili e i principi fondan1entali dell’ordinamento si identifichino necessariamente con tutto il complesso delle regole dettate dalla legge processuale e , in particolare, con le regole codicistiche relative alle diverse modalità di esercizio dei diritti della difesa e alla presenza necessaria del difensore agli interrogatori espletati durante la fase delle indagini, tanto che il mancato avvertimento circa l’utilizzabilità nei suoi confronti delle dichiarazioni che il soggetto interrogato deve rendere, ai sensi dell’art. 64, co. 3, lett. a). c.p.p., seppur potenzialmente lesivo del diritto al silenzio e all’assistenza difensiva, non è considerato norma inderogabile di ordine pubblico».
I giudici osservano come, «ribadendo in materia rogatoriale il principio della prevalenza della lex loci con la sola eccezione delle norme inderogabili e dei principi fondamentali che connotano il diritto di difesa, tra essi escluse le regole codicistiche sulle modalità di assunzione dell’interrogatorio, si è pure affermato che non ricorre alcuna ragione di inutilizzabilità qualora il coimputato dichiarante abbia volontariamente rinunziato dopo il primo interrogatorio, alla presenza del difensore ed abbia reso le suddette dichiarazioni alla Polizia giudiziaria, ma sulla base di una “lex loci” che a ciò l’autorizzava».
Ne consegue che «la questione impone di valutare la rispondenza delle forme impiegate nell’esecuzione della rogatoria ai principi fondamentali dell’ordinamento interno dello Stato richiesto, in forza del principio del locus regit actum».
Dopo aver richiamato le norme del codice di procedura penale egiziano – le quali prevedono, tra le altre cose, che all’atto della prima comparizione della persona indagata nell’ambito di un procedimento penale il magistrato è tenuto a verificarne l’identità, a informarla dell’accusa formulata nei suoi confronti e a verbalizzarne le dichiarazioni – la Corte ha concluso nel senso «la stessa lex loci imponeva l’assistenza difensiva in occasione del cd. “interrogatorio” trattandosi di soggetto formalmente incolpato, benché in via provvisoria, dalla Procura di Roma, di cui veniva chiesta e delegata l’audizione proprio in tale qualità e, benché non fosse stata prescritta dal Pubblico Ministero italiano l’osservanza delle garanzie difensive, questa era in caso contemplata come necessaria dalle stesse regole procedurali dell’ordinamento egiziano».
In conclusione, «dal momento che, in sede di “interrogatorio”, l’agente non è stato informato né delle accuse a suo carico, né del necessario avvertimento circa la possibilità dì richiedere assistenza difensiva, attesa l’inosservanza delle predette regole processuali e considerata la contrarietà dell’attività espletata rispetto ai principi fondamentali dell’ordinamento egiziano oltreché di quello nazionale, il verbale da lui reso dinanzi le Autorità egiziane è da ritenersi nullo ai sensi dell’art. 178, eo. l, lett. e) c.p.p., nullità rilevabile anche d’ufficio per il suo carattere di tipo generale e, sotto il profilo temporale, per esserne stata richiesta nel corso del presente processo»