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La P.G. “teste-ricognitore”: non ha partecipato all’ascolto dell’intercettazione ma può riconoscere la voce della persona intercettata?

in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 6 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. II, 13 marzo 2025 (ud. 12 febbraio 2025), n. 10310
Presidente Petruzzellis, Relatore Cersosimo

Secondo un orientamento giurisprudenziale, purtroppo ormai consolidato, il riconoscimento della voce della persona intercettata può essere effettuato in dibattimento da un ufficiale di p.g. che  non ha sottoscritto il verbale di trascrizione dell’intercettazione e quindi non ha partecipato al suo ascolto.

La vicenda.

In un procedimento per estorsione, il difensore dell’imputato aveva proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di condanna, deducendo, con il primo motivo di impugnazione,  l’inosservanza degli artt. 110, 142, 177, 268 cod. proc. pen. e 89 disp, att. cod. proc. pen.  A giudizio della difesa, la mancata sottoscrizione – da parte di un Brigadiere dei Carabinieri – del verbale di trascrizione dell’intercettazione indicata come prova a carico comporterebbe incertezza assoluta in ordine all’identità dei soggetti intervenuti nell’attività di ascolto e trascrizione con conseguente nullità del verbale stesso.

Era stato anche rimarcato, in proposito, come il menzionato Brigadiere era stato l’unico teste escusso in ordine all’attribuzione all’imputato di una delle voci registrate, nonostante lo stesso Brigadiere non fosse indicato tra gli operanti che hanno predisposto e sottoscritto il verbale di trascrizione dell’intercettazione.

Con il secondo motivo di impugnazione si era anche dedotta la violazione degli artt. 191 e 216 cod. proc. pen. e la conseguente inutilizzabilità dell’intercettazione indicata come prova a carico.

Il riconoscimento della voce dell’imputato, effettuato da parte del suddetto  Brigadiere nel corso della sua deposizione testimoniale, sarebbe stato assunto in violazione dell’art. 216 cod. proc. pen. nella parte in cui regolamenta le modalità di svolgimento della ricognizione di voci.

Infine, il riconoscimento vocale sarebbe stato ritenuto attendibile nonostante lo stesso Brigadiere non interloquisse con l’imputato da oltre quattro anni e senza tenere conto della variabilità della voce a livello interindividuale e intra-individuale nonché della differenza del canale di trasmissione della voce stessa.

Ma la Corte di cassazione ha dichiarato il ricorso  inammissibile.

L’ufficiale di p. g., che dal verbale non risulta aver ascoltato l’intercettazione,  può ascoltarla successivamente senza verbalizzare.

In particolare, il primo motivo di impugnazione è stato dichiarato manifestamente infondato.

Osserva la sentenza che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, non vi sarebbe alcuna incertezza in ordine ai militari dell’Arma che hanno ascoltato e trascritto la conversazione intercettata e indicata come prova a carico.

L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che l’attività di ascolto e trascrizione è stata svolta – presso la sala ascolto della Procura della Repubblica – da un Maresciallo e da un Vice-Brigadiere dei Carabinieri, i quali, terminata l’attività di trascrizione hanno correttamente proceduto a sottoscrivere il relativo verbale.

La sentenza, inoltre, rimarca che nessuna nullità può derivare dalla circostanza che il Brigadiere  abbia – successivamente alla redazione del verbale di trascrizione da parte dei predetti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria – proceduto all’ascolto della conversazione intercettata al fine di un eventuale riconoscimento delle voci degli interlocutori.

Tale accertamento, rientra, infatti fra le attività di indagine rimesse alla discrezionalità della polizia giudiziaria, attività, peraltro, legittimamente svolta dal menzionato Brigadiere in assenza di norme procedurali che vietino l’ascolto delle intercettazioni da parte di investigatori diversi da quelli che hanno proceduto alla trascrizione della captazione.

In dibattimento la ricognizione è attendibile se è attendibile la testimonianza.

Il secondo motivo di ricorso è stato dichiarato al contempo manifestamente infondato e generico.

Il Collegio afferma di seguire il principio di diritto secondo cui le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto la voce dell’imputato sono legittimamente utilizzabili ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari, quando è ritenuta attendibile la deposizione di colui che afferma di identificarlo con sicurezza, senza che sia necessario espletare perizia fonica (vedi Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, De Cicco, Rv. 269900 – 01; Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, Sadikaj, Rv. 281265 – 02 e da ultimo Sez. 2, n. 44818 del 15/10/2024, Di Silvio, non massimata).

Il momento ricognitivo costituisce, invero, parte integrante della testimonianza, di tal che l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste e alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Rv. 262908-01; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Prina, Rv. 271041 – 01, di recente negli stessi termini Sez. 3, n. 41229 del 28/06/2024, Falsetta, non massimata).

Nel caso di specie i giudici di appello, senza fratture logiche nel ragionamento giustificativo della decisione, hanno correttamente ritenuto utilizzabili le dichiarazioni con cui il citato Brigadiere ha riferito “di conoscere perfettamente la voce dell’odierno imputato poiché, per ragioni di servizio, si era trovato in più occasioni a parlare con il medesimo”. Tale affermazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

In dibattimento la ricognizione “informale” si esegue senza rispettare le regole dettate dagli artt. 213 ss. cod. proc. pen.

In relazione all’eccepita violazione dell’art. 216 cod. proc. pen. e alla conseguente inutilizzabilità dell’intercettazione, la Corte ribadisce che l’identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti cod. proc. pen., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 e seguenti cod. proc. pen., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento (Sez. 5, n. 37497 del 13/05/2014, Romano, Rv. 260593 – 01; Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Signorelli, Rv. 279437–01; Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, Mannolo, Rv. 283392 – 01, da ultimo Sez. 2, n. 41960 del 25/09/2024, Bello, non massimata).

Secondo la Corte, la doglianza difensiva va nel senso contrario a un orientamento di legittimità mai contrastato e che viene costantemente affermato da più di un trentennio, visto che il primo arresto giurisprudenziale in tal senso risale ai primi anni Novanta (Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1990, Cannarozzo, Rv. 190569- 01).

Secondo la sentenza, il motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, è pure generico, non avendo il ricorrente prospettato la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza della predetta conversazione sulla complessiva motivazione posta a fondamento della affermazione di responsabilità. Il Collegio, infatti, dà continuità al principio fissato dalla Corte di casazione per il quale, quando si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento probatorio, il ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione ai fini della cosiddetta «prova di resistenza»; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente devono, infatti, incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità

all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini Rv. 279829–01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Lagumina, Rv. 269218-01), profili neanche accennati nel ricorso in esame. Sul punto, la Corte rileva che, nella specie, l’attribuzione dell’intercettazione contestata convergeva con le dichiarazioni rese dalla persona offesa sulla partecipazione dell’odierno ricorrente all’attività estorsiva.

Osservazioni critiche.

Le argomentazioni svolte dalla Corte sono “manifestamente infondate” e quindi inammissibili.

Quod non est in actis non est in mundo!

La prima osservazione  sostiene che l’ufficiale di polizia  giudiziaria che ha riconosciuto la voce dell’imputato, pur risultando dal verbale che non ha proceduto all’ascolto dell’intercettazione,  l’avrebbe però ascoltata successivamente, ma senza verbalizzare questa sua attività di ascolto. Afferma la Corte che “tale accertamento, rientra, infatti fra le attività di indagine rimesse alla discrezionalità della polizia giudiziaria, attività, peraltro, legittimamente svolta dal menzionato Brigadiere in assenza di norme procedurali che vietino l’ascolto delle intercettazioni da parte di investigatori diversi da quelli che hanno proceduto alla trascrizione della captazione”. E ciò è verissimo, ma la Corte trascura che ogni atto della polizia giudiziaria deve essere documentato: “la polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova” (art. 357, comma 1, cod. proc. pen.). Non si può prestare fede ad un operatore di polizia giudiziaria che afferma di aver compiuto un atto del suo ufficio senza verbalizzarlo.

E’ ammissibile un “teste-ricognitore”?

La seconda osservazione che si legge in sentenza è singolare. E’ vero che esiste, purtroppo, un orientamento giurisprudenziale secondo cui le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto la voce dell’imputato sono legittimamente utilizzabili ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari, quando è ritenuta attendibile la deposizione di colui che afferma di identificarlo con sicurezza, senza che sia necessario espletare perizia fonica.

Ma tale indirizzo della giurisprudenza appare assai poco rispettoso della tassonomia codicistica perché testimonianza e ricognizione sono due mezzi di prova ben distinti, che non possono essere né confusi né assommati tra di loro, avendo due distinte discipline, poste a tutela dell’affidabilità del risultato. Di fronte al principio di tassatività dei mezzi di prova, non è ammissibile una inedita “testi-ricognizione” non prevista dal codice e non inquadrabile nemmeno tra le prove innominate perché si tratta di due  mezzi di prova ben distinti, con due discipline normative tra loro non comparabili.

Può aversi una ricognizione dibattimentale ”informale”?

La sentenza segue l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti cod. proc. pen., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 e seguenti cod. proc. pen., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento”.

Anche tale considerazione non può essere accolta perché priva la ricognizione delle garanzie di attendibilità dettate dal codice agli artt. 213,214 e 215 cod. proc. pen. (come l’indicazione delle circostanze in cui il teste ha già sentito la voce, la sua previa descrizione e il confronto con voci somiglianti).

Oltretutto, tale orientamento giurisprudenziale attribuisce ad un agente o ufficiale di polizia giudiziaria qualità tecnico-scientifiche in materia fonica che non gli sono proprie e che sono invece riconosciute ad un perito fonico.

La “testi-ricognizione” priva, da una pare, il giudice dell’apporto scientifico in materia fonica di un perito-terzo e, dall’altra,  l’imputato delle garanzie difensive ( si pensi  solo all’impossibilità di nominare un consulente tecnico della difesa).

Ancora sulla necessità della “prova di resistenza”?

Infine,  la sentenza richiama la necessità che nel ricorso si sia proceduto alla c.d. “prova di resistenza”, a pena di inammissibilità del ricorso stesso.

L’argomentazione sembra una “foglia di fico” dietro la quale si nasconde l’esigenza di dichiarare l’inammissibilità dei (tanti…troppi?) ricorsi in cassazione.

Infatti, la  regola è la tassatività delle sanzioni processuali e non esiste alcuna disposizione di legge che esiga,  e tanto meno a pena di inammissibilità per aspecificità del ricorso, la necessità che il ricorrente sviluppi nel ricorso stesso la “prova di resistenza”: insomma, è la teoria della “prova di resistenza”  che non resiste ad alcune elementari obiezioni logiche. Infatti, il principio di tassatività delle sanzioni processuali non può essere obliterato per ammettere una causa di inammissibilità dell’impugnazione non prevista dalla legge. Il motivo di ricorso deve essere specifico, ma la specificità non significa rilevanza della nullità o inutilizzabilità della prova nel compendio delle prove. Semmai, si tratterà di un ricorso “inutile”, di fronte all’esistenza di altre prove a carico, ma il motivo che indica specificamente la prova asseritamente viziata e il motivo del vizio è “specifico”.

Infine, non può sfuggire che richiedere alla parte ricorrente di svolgere la “prova di resistenza” significa esigere da essa una valutazione delle prove residue e utilizzabili, che è un’attività valutativa di fatto, riservata al giudice, e comunque sempre preclusa in sede di legittimità.

Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Filippi, La P.G. “teste-ricognitore”: non ha partecipato all’ascolto dell’intercettazione ma può riconoscere la voce della persona intercettata?, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 6