Problematiche e profili di illegittimità costituzionale nel nuovo meccanismo di conversione delle pene pecuniarie, come modificato dalla Riforma Cartabia
in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 5 – ISSN 2499-846X
Ufficio di Sorveglianza di Bologna, Magistrato di Sorveglianza, ordinanza n. 1013 del 31.3.25
Dott. Romano Ezio
L’Ufficio di Sorveglianza di Bologna, con ordinanza del 31 marzo 2025, n.1013/25, in seguito a domanda di conversione della pena pecuniaria, ex art. 660 c.p.p., proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara, ha pronunciato un’interessante ordinanza relativa al problematico meccanismo di conversione delle pene pecuniarie, così come modificato dalla Riforma Cartabia, sollevando due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 102 L. n.689/1981, nonché in via conseguenziale dell’art. 660, c.3 c.p.p..
Nel procedimento in commento, la Procura della Repubblica aveva emesso, ai sensi del novellato art. 660 c.p.p., ordine di esecuzione della pena pecuniaria inflitta con sentenza di applicazione della pena di anni 2 e giorni 20 di reclusione ed euro 3.000 di multa, emessa dal Tribunale di Ferrara, intimando al condannato il pagamento della multa entro il termine di novanta giorni dalla notifica e fornendo gli avvisi di legge previsti dal comma 3 dell’art. 660 c.p.p., tra cui la facoltà di richiedere, entro venti giorni, la rateizzazione del pagamento della pena pecuniaria.
Accertata l’assenza di istanze di rateizzazione ed il mancato pagamento della multa nei termini di legge, la Procura trasmetteva gli atti al Magistrato di Sorveglianza di Bologna, affinché provvedesse alla conversione della pena pecuniaria, ai sensi degli artt. 102 e 103 L. n.689/1981. L’istruttoria disposta dall’Ufficio di Sorveglianza ha rilevato che il mancato pagamento dell’ordine di esecuzione non derivava da una condizione di insolvibilità del condannato, bensì da una situazione di mera insolvenza.
L’attuale assetto normativo, così come modificato dalla Riforma Cartabia, avrebbe imposto al Magistrato di Sorveglianza di provvedere, ai sensi degli artt. 660, cc. 3 e 9 c.p.p. e 102 L. n.689/1981, alla conversione della pena pecuniaria non pagata nella pena sostitutiva della semilibertà sostitutiva, secondo il criterio di ragguaglio disciplinato dagli artt. 102 L. n. 689/1981 e 135 c.p..
Tuttavia, con l’ordinanza in esame, il Magistrato di Sorveglianza ha sollevato interessanti questioni di legittimità costituzionale nel meccanismo di conversione della pena pecuniaria, con riferimento all’art. 102 L. n.689/1981. Ritenendo le questioni rilevanti ai fini della decisione e non manifestamente infondate, né emendabili mediante interpretazioni costituzionalmente orientate, il giudice ha rimesso le questioni alla Corte Costituzionale, sospendendo il procedimento di esecuzione.
Come noto, il sistema di esecuzione delle pene pecuniarie è stato recentemente ridisegnato dalla c.d. Riforma Cartabia (D.Lgs. n.150/2022) che, nel tentativo di garantire effettività al sistema sanzionatorio e certezza all’esecuzione pena pecuniaria, ha introdotto procedure più rapide della riscossione di quanto dovuto dal condannato allo Stato, con revisione del sistema di conversione della pena non pagata.
L’intervento legislativo ha conferito alla magistratura requirente il ruolo di promotore del nuovo procedimento, prevedendo un vero e proprio ordine di esecuzione anche per le pene pecuniarie. Inoltre, è stato riformulato il meccanismo di conversione della pena pecuniaria per mancato pagamento, con distinzione tra l’ipotesi in cui il condannato versa in stato di insolvibilità (mancato pagamento incolpevole) rispetto l’ipotesi di mera insolvenza (mancato pagamento colpevole).
Secondo il magistrato bolognese, il nuovo sistema “è ben più rigido non solo nel sanzionare il condannato inadempiente con la conversione, ma anche nel fissare precise scansioni temporali in cui viene in rilievo il giudizio di insolvenza o insolvibilità, ancorate al termine di pagamento fissato dalla Procura, nonché nel restringere le ipotesi in cui è consentito dare spazio alla valutazione/rivalutazione delle condizioni economiche dell’interessato per l’accesso agli istituti del differimento e della rateizzazione rispetto alle diverse condizioni insolvibilità o insolvenza.”
In questa sede, preme ricostruire i criteri di conversione dettati dal novellato art. 660 c.p.p. che prevede, in caso di mancato pagamento, la conversione della pena pecuniaria in una pena sostitutiva, secondo le diverse modalità stabilite dagli artt. 102 e 103 L. n.689/1981, nonché di attuare le modalità di cui all’art. 71 della medesima legge, per la conversione della pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva breve.
In particolare, l’art. 102 L. n.689/1981 disciplina la conversione nei casi di insolvenza, ossia quando il condannato, pur trovandosi nelle condizioni economiche di adempiere al pagamento, non vi provvede. La pena pecuniaria si converte in semilibertà sostitutiva per la durata massima di quattro anni, se si tratta di multa, e di due anni, se si tratta di ammenda.
L’art. 103 L. n.689/1981 regola, invece, le ipotesi di insolvibilità, prevedendo che la pena pecuniaria si converta nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo, ovvero, qualora il condannato si opponga, nella detenzione domiciliare sostitutiva.
Come accennato, l’art. 71 L. n.689/1981 disciplina un meccanismo di conversione, parzialmente divergente, per i casi di mancato pagamento di una sanzione sostitutiva pecuniaria derivante da conversione di pena detentiva breve. Nelle ipotesi in cui il mancato pagamento della pena sostitutiva sia imputabile al condannato, l’articolo prevede la revoca e la conversione della pena nella semilibertà sostitutiva o nella detenzione domiciliare sostitutiva, mentre nelle ipotesi in cui le condizioni economiche e patrimoniali del condannato rendono impossibile il pagamento, è prevista – in modo analogo al sopracitato art. 103 – la revoca e la conversione della pena sostitutiva nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo ovvero, se il condannato si oppone, nella detenzione domiciliare sostitutiva.
Nell’applicazione delle suddette disposizioni, il Magistrato di Sorveglianza di Bologna ha sollevato rilevanti dubbi di compatibilità costituzionale, in merito alla coerenza e alla proporzionalità della scelta legislativa di prevedere la conversione della pena pecuniaria in misure detentive anche di tipo carcerario, quali la semilibertà sostitutiva.
Con il provvedimento in commento, il giudice rimettente, ha, infatti, osservato che il nuovo sistema di conversione della pena pecuniaria “risulta particolarmente irragionevole nel bilanciamento tra gli interessi in gioco (effettività della sanzione pecuniaria – libertà personale) al punto di arrecare un vulnus sproporzionato ai beni costituzionali sottesi all’esecuzione penale, cui la materia delle pene pecuniarie evidentemente afferisce nella misura in cui, oltre a punire mediante una sanzione che attinge il condannato nella sua sfera economica, può condurre anche all’applicazione di restrittive della libertà personale o comunque limitative di diritti costituzionalmente tutelati dagli artt. 13,15,16, 27 c.3 Cost.”.
In tal modo, il giudice a quo ha sollevato la prima questione di legittimità costituzionale, ravvisando la violazione degli artt. 3, c. 2 e 13 Cost., in relazione alla rigidità del meccanismo disciplinato dall’art. 102 L. n.689/1981, nella parte in cui impone un’automatica conversione della pena pecuniaria nella semilibertà sostitutiva, senza prevedere l’applicazione di misure alternative meno afflittive, quali la detenzione domiciliare sostitutiva. Nonché, in via consequenziale, il giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 c.3 c.p.p..
Il Magistrato di Sorveglianza ha infatti lamentato “la contradditoria ed intrinseca irragionevolezza dell’attuale assetto normativo […] nella misura in cui stabilisce una forma sanzionatoria sproporzionatamente restrittiva della libertà personale del condannato a pena pecuniaria”.
Il meccanismo disciplinato dall’art. 102 L. n.689/1981, secondo quanto affermato nell’ordinanza, lede il c.d. principio di ragionevolezza, inteso come criterio per valutare le differenziazioni normative. In particolare, il sistema previsto risulta carente sotto il profilo dell’adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo perseguito e della proporzionalità tra il sacrificio imposto al diritto limitato ed il vantaggio che si intende ottenere per il diritto/interesse tutelato. Manca il concreto bilanciamento tra il principio di effettività della sanzione penale e la protezione dei diritti fondamentali della persona, tra cui, in primis, il diritto alla libertà personale, costituzionalmente garantito dall’art.13 Cost..
La conversione della pena in quella detentiva della semilibertà sostitutiva, comporta, infatti, un’eccessiva compressione della libertà personale, a fronte di una pena pecuniaria spesso di entità contenuta, realizzando una modifica qualitativa di una pena che, strutturalmente, non dovrebbe avere carattere inframurario.
L’opzione auspicata dal Magistrato di Sorveglianza – la detenzione domiciliare sostitutiva quale misura da preferire per le ipotesi di insolvenza – fornirebbe una risposta più proporzionata e adeguata all’ottenimento dell’adempimento spontaneo della pena pecuniaria. Secondo quanto asserito con l’ordinanza in commento, in tal modo, si realizzerebbe “un più ponderato equilibrio tra i beni costituzionali in gioco e le finalità della riforma, individuando quella misura che, a parità di tutela delle esigenze di esecuzione penale, realizzi il minimo sacrificio necessario della restrizione della libertà personale, anche in punto di qualità della restrizione comminata dall’ordinamento”.
In via gradata, con l’ordinanza in commento, il giudice a quo ha sollevato una seconda questione di legittimità costituzionale dell’art. 102 L. n.689/1981, per violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, c. 2 Cost., in relazione agli artt. 13 e 27 c. 3 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di convertire la pena anche nella detenzione domiciliare sostitutiva, oltre l’applicazione dell’art. 58 L. n.689/1981, così come previsto dall’art. 71 della medesima legge per l’analoga ipotesi di conversione della pena in caso di insolvenza. In via consequenziale, il giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 c.3 c.p.p..
In effetti, il legislatore, senza rispettare quanto stabilito dall’art. 57 L. n.689/1981 (che afferma “la pena pecuniaria si considera sempre come tale anche sostitutiva della pena detentiva”) ha attribuito rilievo decisivo alla distinzione tra pena pecuniaria originaria e sostitutiva, consentendo esclusivamente per la seconda la possibilità di convertire la pena, previo consenso del condannato, nella detenzione domiciliare sostitutiva, oltre l’esplicita applicazione dell’art. 58 (rubricato “potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”).
Secondo il magistrato rimettente, così come espressamente riportato nell’ordinanza in commento, “il suddetto meccanismo risulta intrinsecamente contraddittorio, essendo minato nella propria ragionevolezza da una lampante contraddizione di fondo insita nel sistema di conversione risultante dagli artt. 660 c.p.p., 71 e 102 L. 689/1981 tra le pene pecuniarie originarie e le pene pecuniarie sostitutive, che assoggetta a difformi discipline la conversione in caso di insolvenza da parte del condannato, compiendo una scelta normativa che tratta in modo differente condizioni di fatto e di diritto del tutto assimilabili, come tale lesiva del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, c.2 Cost. oltre che del principio di emenda e della libertà personale del condannato.”
Nell’analisi della disciplina, il giudice non ha individuato giustificazioni adeguate sul piano della coerenza sistematica e della ragionevolezza normativa. Invero, con l’ordinanza in commento, ha sostenuto che la distinzione tra i due meccanismi ha introdotto una disciplina disomogenea rispetto a situazioni sostanzialmente analoghe. Inoltre, nella disciplina dettata dall’art. 102 L. n.689/1981, il magistrato ha evidenziato la totale mancanza di individualizzazione della posizione del condannato, tramite l’imposizione di un’unica misura che, oltre a ledere il principio di uguaglianza per l’irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per casi analoghi dall’art. 71 L. n.689/1981, risulta lesiva anche della finalità rieducativa della pena, di cui all’art. 27 c.3 Cost.
In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, l’ordinanza commentata rappresenta senz’altro un importante spunto per una riflessione sistematica sulle conseguenze applicative della Riforma Cartabia in materia di esecuzione penale, sollecitando un intervento capace di restituire centralità ai principi di proporzionalità, adeguatezza, personalità della pena e funzione rieducativa nell’ambito dell’esecuzione delle pene pecuniarie.
Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Gatti, Problematiche e profili di illegittimità costituzionale nel nuovo meccanismo di conversione delle pene pecuniarie, come modificato dalla Riforma Cartabia, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 5