La Convenzione di Mérida non contempla un obbligo di incriminazione dell’abuso d’ufficio: questioni risolte e questioni ancora aperte. Osservazioni a prima lettura su C. Cost. 3 luglio 2025, n. 95.
in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 7-8 – ISSN 2499-846X
Corte costituzionale, 3 luglio 2025 (ud. 7 maggio 2025), sentenza n. 95
Presidente Barbera, Relatore Viganò
In occasione del deposito della sentenza con la quale la Corte Costituzionale si è pronuncia sulle ben quattordici ordinanze con le quali erano state proposte molteplici questioni di legittimità costituzionale – di cui tredici da parte di giudici di merito e una da parte della Suprema Corte di Cassazione – in relazione alla legge 9 agosto 2024, n. 114, nella parte in cui ha abrogato la fattispecie di cui all’art. 323 c.p., numerosi sono gli orizzonti di riflessione che si offrono al penalista.
L’enunciazione delle ragioni della decisione – di cui era noto il dispositivo dall’8 maggio 2025 – era attesa con grande interesse. Il vivace dibattito in ordine ai possibili profili di incostituzionalità dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, infatti, si era alimentato sin dall’albeggiare della proposta legislativa ed era poi divampato con la repentina accelerazione dell’iter parlamentare che ha portato, meno di un anno addietro, all’abrogazione della fattispecie di cui all’art. 323 c.p.
Tale dibattito ha spesso scontato una certa sovrapposizione concettuale tra il piano dell’opportunità politico-criminale di una determinata scelta abrogativa e il piano afferente alla rilevanza costituzionale di essa: molti argomenti spesi – sotto plurimi profili – per sostenere l’illegittimità costituzionale dell’abrogazione anzidetta, infatti, appaiono in realtà solo la veste formale con la quale si è veicolato un – peraltro condivisibile, almeno per chi scrive – giudizio negativo sulla scelta politico-criminale di abrogare in toto una fattispecie dal peso specifico importantissimo nel complesso sistema dei delitti contro la pubblica amministrazione.
Ripercorrendo le quattordici articolate questioni di legittimità portate all’attenzione della Consulta, due sono le osservazioni che, cercando di assumere una prospettiva più ampia, si possono formulare: (i) da un lato, la preoccupazione dinanzi ai vuoti di tutela che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha lasciato dietro di sé; vuoti di tutela avvertiti come ingiusti e, in quanto tali, inadeguati sul piano politico-criminale; (ii) dall’altro, il ricorso ad “acrobazie” interpretative per ricavare un obbligo di incriminazione funzionale ad attivare un intervento ripristinatorio da parte della Corte Costituzionale. Sembra, infatti, abbastanza evidente che la suddetta sovrapposizione concettuale abbia finito per sospingere i giudici remittenti a “setacciare” gli strumenti normativi sovranazionali alla ricerca di un appiglio funzionale a rintracciare un obbligo di incriminazione. L’individuazione di un siffatto obbligo, infatti, si sarebbe rivelata necessaria ad “armare” la penna della Corte Costituzionale, dischiudendo uno dei (correttamente) limitati spazi di deroga al divieto di pronunce in malam partem: la violazione di un obbligo internazionale di criminalizzazione.
Ecco allora la ragione per la quale, ancor prima di considerare il merito della decisione della Consulta, la stessa appare condivisibile per ragioni di metodo, per aver cioè posto in luce la segnalata diversificazione di piani concettuali, conducendo un percorso giuridico-argomentativo non contaminato da considerazioni strettamente politico-criminali.
Senza pretendere di affrontare con compiutezza, a brevissima distanza dalla pubblicazione delle motivazioni, le moltissime questioni che le stesse offrono, può risultare nondimeno utile mettere a fuoco sin da subito due snodi nevralgici del percorso argomentativo della sentenza: i) la ricostruzione degli spazi di intervento con effetti in malam partem della Corte Costituzionale: si tratta di una coerente delimitazione degli ambiti di sindacato della Consulta che, in tal modo, riafferma con decisione l’esistenza di questi spazi e la relativa compatibilità con il principio di legalità e con le architetture costituzionali; ii) la ritenuta insussistenza di obblighi di incriminazione concernenti l’abuso d’ufficio nella Convenzione di Mérida; ciò, tuttavia, non comporta automaticamente l’inesistenza di differenti parametri sovranazionali che siffatti obblighi impongano.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Carraro, La Convenzione di Mérida non contempla un obbligo di incriminazione dell’abuso d’ufficio: questioni risolte e questioni ancora aperte. Osservazioni a prima lettura su C. Cost. 3 luglio 2025, n. 95, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 7-8