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Abrogazione dell’abuso d’ufficio: perché si e perché no. Le opinioni di Nicola Madìa e Guido Stampanoni Bassi

Segnaliamo ai lettori, in merito alla proposta di abrogare la norma incriminatrice che sanziona l’abuso d’ufficio, il confronto – pubblicato in data odierna sul quotidiano L’Edicola del Sud – tra l’avv. prof. Nicola Madìa (avvocato abilitato alle funzioni di Professore Associato di Diritto Penale) e l’avv. Guido Stampanoni Bassi (avvocato e direttore della rivista Giurisprudenza Penale).


Eliminazione dell’abuso d’ufficio: perché sì.

di Nicola Madìa (avvocato abilitato alle funzioni di Professore Associato di Diritto Penale)

Se la magistratura applicasse la legge in modo fedele al testo e l’archiviazione di denunce infondate fosse immediata, la presenza dell’abuso d’ufficio sarebbe sacrosanta.

È inopportuno generalizzare, ma occorre ammettere senza infingimenti e riverenze come, salvo eccezioni, che, in quanto tali, risaltano, di regola la Giustizia non venga gestita in modo virtuoso.

Un sistema dove l’amministrazione pubblica non brilla per efficienza e la burocrazia si mostra spesso svogliata e intimidata dalla paura della firma, non può permettersi figure di reato che acuiscono questi fenomeni, senza neanche rivelarsi indispensabili per la tenuta dell’ordinamento, anzi.

Scelte che sembrano irrazionali su un piano giuridico, diventano ragionevoli se inquadrate in un’ottica generale, considerando come il malfunzionamento dell’amministrazione giudiziaria faccia sì che l’abuso d’ufficio determini maggiori costi che benefici per il paese nel suo complesso.

L’art. 323 c.p., nonostante gli sforzi per precisarne il contenuto, è stato spesso soggetto a letture forzate che hanno, di fatto, neutralizzato gli interventi del legislatore.

Nella prassi, infatti, si sono individuati efficaci grimaldelli argomentativi per eludere le indicazioni impartite dal legislatore, che hanno consentito di continuare a procedere per abuso d’ufficio a buon ritmo (nel 2016 le iscrizioni erano circa 8000, nel 2021 oltre 4800).

Al di là dello scarso numero di condanne, l’interventismo delle Procure costituisce vera pena, essendo la sola iscrizione sul registro degli indagati, con annesse campagne mediatiche, foriera di danni irreversibili.

Il nostro è un paese contaminato dal germe patogeno del populismo giudiziario, refrattario alla presunzione d’innocenza, dove politica e alta amministrazione faticano a recuperare consapevolezza del loro ruolo, intimidite dalla forza micidiale, capace di esiti esiziali, sprigionata dal perverso, spaventoso e smisurato intreccio di potere generato dagli incestuosi rapporti tra stampa e addetti ai procedimenti penali.

Una Giustizia Giusta, con archiviazioni immediate (sovente l’infondatezza della denuncia è palese), che non giochi di sponda con media compiacenti per prosaici interessi commerciali più che per ragioni ideali (pubblicare atti giudiziari ricevuti stando seduti alla scrivania squalifica la professione del giornalista, il quale, invece, dovrebbe nobilitarsi impegnandosi in vere inchieste), risolverebbe il problema alla base.

Da noi i fascicoli – senza cura per i destini e le sofferenze altrui-, vengono archiviati dopo anni, con effetti deterrenti non solo per il pubblico agente coinvolto ma anche per i colleghi.

Interi uffici si paralizzano.

A fronte di pochi casi meritevoli di tutela (18 condanne nel 2021), lo squilibrio complessivo che determina l’abuso d’ufficio in un apparato inefficiente ne rende preferibile l’eliminazione.

Insigni studiosi hanno inoltre dimostrato che l’abuso d’ufficio non è imposto da vincoli sovranazionali.

Basta che l’ordinamento sia dotato di rimedi effettivi avverso le irregolarità dell’azione amministrativa: la possibilità di ricorrere al TAR per chiedere l’annullamento di un concorso è sufficiente.

S’invocano lenzuolate di depenalizzazione e poi si grida allo scandalo in nome del panpenalismo ideologico.

Mirate operazioni di chirurgia normativa, finalizzate a rimuovere figure di reato idonee a provocare più danni che vantaggi in un paese dove si assiste da decenni ad uno straripamento dell’ordine giudiziario, devono essere salutate con favore dai fautori di un diritto penale come extrema ratio.

Il diritto penale è risorsa limitata, con enormi costi sociali e umani: va riservato a pochi casi davvero degni.

Non vogliamo poi credere che la magistratura si macchi di deliberati abusi, contestando altri reati (corruzione, turbativa d’asta ecc.) in assenza dei presupposti pur di procedere.

Sarebbe il segnale di una grave patologia (già censurata dalla Cassazione con riferimento alla turbativa d’asta), che, ovviamente, non può condizionare il legislatore, ma che dovrebbe essere stigmatizzata e sanzionata dal CSM.

Non sarà la panacea di tutti mali, ma una magistratura rispettosa di democratiche scelte parlamentari e più produttiva, forgerebbe un sistema capace di autocorreggersi, rendendo inutili e ingiusti tanti interventi, come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio.

Speriamo quindi che i decreti attuativi sulle valutazioni dei magistrati (spariti da tempo dai radar) escano quanto prima dalle stanze del Ministero.


Eliminazione dell’abuso d’ufficio: perché no.

di Guido Stampanoni Bassi (avvocato e direttore della rivista Giurisprudenza Penale)

Uno dei principali argomenti utilizzati dai sostenitori della proposta di abrogare la norma che sanziona l’abuso d’ufficio è, per così dire, “statistico” e può essere così sintetizzato: siamo al cospetto di un reato “inutile”, come risulta dal fatto che, su oltre 5.400 procedimenti iscritti nel 2021, più di 4.400 siano stati archiviati e solo 18 siano state le condanne all’esito del dibattimento.

I numeri – presi così – sono senz’altro significativi e meritano una riflessione (e forse anche un chiarimento).

Se 5.400 sono stati i procedimenti iscritti nel 2021, ciò significa che ogni Procura d’Italia, in media, ne ha gestiti circa 38 all’anno. Ma sono numeri che davvero ci consentono di dire che siamo al cospetto di un reato inutile e da cancellare?

La sola Procura di Napoli, nel 2021, ha iscritto oltre 100.000 procedimenti. La Procura di Milano, nel 2020, ne ha iscritti poco più di 82.000 (ed erano quasi 115.000 nel 2019). La Procura di Roma, al solo mese di giugno di quest’anno, è già arrivata a quasi 100.000 procedimenti contro ignoti (ed è facile immaginare che il numero possa sfiorare i 200.000). Sempre nel 2021, nel solo distretto del Lazio sono stati iscritti più di 300.000 procedimenti. Il tema dell’abuso d’ufficio riguarda 5.000 procedimenti in tutta Italia, la stragrande maggioranza dei quali neanche arriva a giudizio.

A fronte di numeri del genere – con riferimento ai quali l’incidenza delle denunce per abuso d’ufficio è infinitesimale (al netto di quelle che possono essere state considerate come non costituenti notizie di reato) – ci si chiede come possa seriamente parlarsi di “ingolfamento” delle nostre aule di giustizia.

Si tenga inoltre presente che, nella maggioranza dei casi, i procedimenti per abuso d’ufficio originano da denunce dei privati. Senza entrare nel merito del vuoto di tutela che si potrebbe creare, non è affatto scontato che il vantaggio – se di vantaggio si tratta – in termini di procedimenti che non verrebbero più iscritti possa essere così significativo, non potendosi escludere che i privati continuino ugualmente a denunciare quelli che appaiono loro come degli abusi.

Ulteriore conseguenza è quella relativa alle possibili conseguenze della abrogazione, con riferimento alla quale, da più parti, negli anni si è evidenziato il rischio della possibile contestazione di reati anche più gravi che potrebbero prendere il posto prima occupato dall’abuso d’ufficio.

In senso opposto – e, dunque, in difesa dell’abuso d’ufficio – si sono, invece, rimarcate sia le modifiche intervenute nel 2020 (che avevano già contribuito a restringere l’area del penalmente rilevante, così riducendo l’ormai famosa “paura della firma”) sia il notevole calo che si è registrato negli ultimi anni nelle iscrizioni. Sempre per dare qualche numero, la Procura di Milano aveva fatto registrare, dal 2018 al 2020 (ossia ancor prima della modifica legislativa), un caso del 24% nelle iscrizioni.

In conclusione – riprendendo da dove abbiamo iniziato – occorre chiedersi se si è davvero in presenza di un reato inutile che ingolfa i nostri Tribunali.

La risposta credo debba essere negativa anche se, a ben vedere, occorrerebbe prima chiedersi cosa si intenda per “inutilità” di un reato e, soprattutto, quale sia l’indice che andrebbe preso in considerazione. Ci si limita ad osservare – non essendo questa la sede per un approfondimento in tal senso – che se tale indice venisse individuato nella percentuale di condanne ottenute all’esito del dibattimento si dovrebbero probabilmente abrogare un gran numero di reati presenti nel nostro codice penale.

Come è stato osservato, un numero così elevato di archiviazioni, anziché preoccupare, dovrebbe essere valutato positivamente, essendo la prova del fatto che le Procure sono in grado di assicurare quella funzione di “filtro” che ora – vuoi con le modifiche apportate all’iscrizione delle notizie di reato, vuoi con la nuova regola di giudizio – dovrebbe essere ancora più accentuata.

Si obietterà che tale opera di “selezione” avviene, purtroppo, con tempi non compatibili con le esigenze di un normale cittadino (e, a maggior ragione, di un amministratore) che rischia di trovarsi sottoposto ad un procedimento per mesi, se non per anni. Questo è senz’altro vero, ma si tratta di un problema che, complici anche i numeri che abbiamo prima visto, non è certamente riservato ai procedimenti per abuso d’ufficio e non rappresenta, in ogni caso, una buona ragione per la sua cancellazione.

Redazione Giurisprudenza Penale

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