Riscrittura del traffico di influenze illecite: depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 185/2025)
Corte costituzionale, 16 dicembre 2025, n. 185
Presidente Amoroso, Relatore Viganò
Segnaliamo ai lettori il deposito della sentenza con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale – sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma – dell’art. 1, comma 1, lettera e), della legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare), nella parte in cui ha modificato l’art. 346-bis del codice penale.
Più precisamente, secondo il giudice a quo, la riscrittura della fattispecie di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis cod. pen. ad opera della disposizione censurata avrebbe comportato una riduzione del suo perimetro applicativo incompatibile con gli obblighi derivanti dall’art. 12 della Convenzione di Strasburgo, ratificata dall’Italia e resa esecutiva nell’ordinamento interno con legge n. 110 del 2012.
La Corte ha ritenuto la questione non fondata.
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Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa:
Non è incostituzionale la riforma del reato di traffico di influenze.
Pur limitando significativamente la tutela penale del buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, la riforma del reato di traffico di influenze illecite realizzata nel 2024 non viola gli obblighi internazionali discendenti dalla Convenzione di Strasburgo sulla corruzione.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 185, depositata oggi, che ha ritenuto non fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma.
Il giudice rimettente doveva giudicare della responsabilità penale di alcuni imprenditori, accusati di traffico di influenze per avere versato più di undici milioni di euro a un mediatore, il quale si sarebbe impegnato ad attivarsi presso il Commissario per l’emergenza COVID per assegnare a una serie di imprese cinesi l’appalto relativo alla fornitura di 800 milioni di mascherine. Poiché la nuova formulazione del reato di traffico di influenze illecite, risultante dalla riforma del 2024, non si accontenta più che il denaro sia versato in vista di una generica “mediazione illecita”, ma richiede che tale mediazione abbia a oggetto la commissione di un reato da parte di un pubblico ufficiale, gli imputati avrebbero dovuto essere assolti. La stessa pubblica accusa aveva, infatti, contestato al Commissario, nel medesimo procedimento, il reato di abuso di ufficio, che per effetto della medesima riforma del 2024 non costituisce più reato.
Il Tribunale di Roma, tuttavia, dubitava della compatibilità della riforma con l’obbligo, discendente dalla Convenzione di Strasburgo, di incriminare il traffico di influenze. L’articolo 12 della Convenzione descrive infatti il reato come il fatto di chi offre, promette o versa denaro a un mediatore affinché eserciti una “improper influence” su un pubblico ufficiale, senza richiedere necessariamente che questa influenza debba essere finalizzata a ottenere la commissione di un reato da parte dello stesso pubblico ufficiale.
La Corte ha anzitutto confermato, in linea con quanto già stabilito nella sentenza numero 95 del 2025 sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, che la violazione degli obblighi internazionali di criminalizzazione di una condotta può dar luogo a una violazione dell’articolo 117 della Costituzione, che impone al legislatore il rispetto degli obblighi internazionali. Inoltre, essa ha riconosciuto che dall’articolo 12 della Convenzione di Strasburgo discende, per il legislatore, un obbligo di prevedere nell’ordinamento penale italiano il reato di traffico di influenze illecite.
La Corte ha però ritenuto che il concetto di “influenza impropria” utilizzato dalla Convenzione abbia contorni vaghi, che necessariamente debbono essere precisati dal legislatore nazionale. Ciò anche in relazione alla persistente mancanza di una disciplina del lobbying, che consenta di tracciare una chiara linea distintiva «tra illegittime e legittime forme di intermediazione con i pubblici ufficiali, finalizzate a rappresentare e sostenere interessi di singoli individui e imprese, ovvero interessi diffusi e collettivi, nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dello stesso legislatore».
Pertanto, la scelta del legislatore italiano di fornire una interpretazione restrittiva di “mediazione illecita”, ancorata alla necessità che l’accordo tra le parti abbia a oggetto la commissione di un reato da parte del pubblico ufficiale, si colloca secondo la Corte «all’interno dello spazio di discrezionalità che la stessa Convenzione di Strasburgo lascia aperto al legislatore nazionale, chiamato a concretizzare le clausole generali contenute nello strumento internazionale in armonia con i principi del proprio ordinamento, tra cui quello – di rango costituzionale – di precisione della legge penale».
La Corte ha, peraltro, invitato il legislatore a introdurre una organica disciplina delle attività di lobbying, da tempo e da più parti auspicata. «Tale disciplina» – ha sottolineato la Corte – «appare necessaria, al fine di definire con chiarezza le condotte di illecita influenza sui pubblici ufficiali e di prevedere sanzioni per l’inosservanza delle relative prescrizioni; garantendo così trasparenza alle prassi di interlocuzione con le istituzioni, onde assicurare ai consociati la possibilità di un più accurato controllo sull’operato della pubblica amministrazione e dei propri rappresentanti eletti». L’adozione di una simile disciplina potrebbe, d’altra parte, «consentire al legislatore di rimeditare le attuali scelte in materia di disciplina penale del traffico di influenze illecite, sì da assicurare una più incisiva tutela degli stessi interessi collettivi – essi pure di rango costituzionale – all’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione contro condotte di indubbia gravità, che restano oggi del tutto sprovviste di sanzione».
Roma, 16 dicembre 2025








