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Finisce alla Corte Costituzionale il processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo: l’ordinanza della Corte di Assise di Milano

Corte di Assise di Milano, Ordinanza, 14 febbraio 2018
Presidente Dott. Ilio Mannucci Pacini

Finisce alla Corte Costituzionale il processo nei confronti di Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo.

La Corte di Assise di Milano ha infatti sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo allla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario, ritenendo tale incriminazione in contrasto e violazione dei principi sanciti agli articoli 3, 13 II comma, 25 III comma della Costituzione, che individuano la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell’offensività della condotta accertata. Deve, infatti, ritenersi che, in forza dei principi costituzionali dettati agli artt. 2, 13 I comma della Costituzione ed all’art. 117 della Costituzione, con riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e che, di conseguenza, solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame.

Secondo i giudici, i principi costituzionali in materia («dai quali deriva la libertà dell’individuo di decidere sulla propria vita, ancorchè da ciò dipenda la sua morte»), il riconoscimento del diritto alla libertà e alla autodeterminazione e la recente approvazione della legge 219 del 2017 «devono presidiare l’esegesi della norma di cui all’art. 580 c.p. orientando l’interprete nell’individuazione del bene giuridico tutelato e, di conseguenza, delle condotte idonee a lederlo».

Alla luce dei principi di offensività, ragionevolezza e proporzionalità della pena – si legge nell’ordinanza – «si ritiene che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suidicio, che non incidano sul percorso deliberativo dell’aspirante suicida, non siano sanzionabili. E tanto più che non possano esserlo con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, prevista dall’art. 580 c.p., senza distinzione tra le condotte di istigazione e quelle di aiuto, nonostante le prime siano certamente più incisive anche solo sotto il profilo causale, rispetto a quelle di chi abbia semplicemente contribuito al realizzarsi dell’altrui autonoma deliberazione e nonostante del tutto diversa risulti, nei due casi, la volontà e la personalità del partecipe».

Redazione Giurisprudenza Penale

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