ARTICOLIDiritto PenitenziarioTesi di laurea

La detenzione amministrativa dei migranti (Tesi di laurea)

Prof. relatore: Pasquale Bronzo

Ateneo: Università La Sapienza

Anno accademico: 2018-2019

Il lavoro ricostruisce disciplina, prassi e politiche della detenzione amministrativa dei migranti, con l’obiettivo di dimostrare l’urgenza di una loro ridefinizione alla luce dei valori di libertà e dignità umana.

La tesi ha vinto il Premio Acat Italia 2019, “Una laurea per fermare la tortura e per i diritti dei migranti”, con la seguente motivazione: «apprezzando la scelta di indagare, con rigore scientifico e passione civile, un fenomeno emergente finora poco approfondito come la detenzione amministrativa dei migranti e le gravi sofferenze che ne derivano, e di segnalare l’urgenza di soluzioni alternative meno afflittive e più rispettose delle garanzie costituzionali, dei diritti umani e della dignità della persona».

Dall’analisi emerge un paradigma illiberale, diffuso in tutto il mondo e legittimato nel diritto internazionale, per funzioni e procedure di adozione. La detenzione amministrativa, funzionale al rimpatrio o ad altro risultato amministrativo correlato al governo dell’immigrazione, è disposta dalle forze di polizia e trova esecuzione, per periodi significativi, in luoghi simili a carceri, nonostante lo scopo non punitivo. Le “prigioni amministrative”, però, sono forse peggiori delle prigioni, essendo state sottratte ai presidi di dignità riconosciuti ai detenuti dal diritto penitenziario. Così, sono pochi gli attori nazionali che prevedono meccanismi di reclamo idonei a far cessare trattamenti degradanti o contrari al senso di umanità.

Le condizioni di detenzione nei centri sono perlopiù ignorate dalla società civile, considerate le restrizioni e i divieti che incontrano giornalisti e Ong all’accesso nelle strutture, nonché la poca trasparenza che talora caratterizza l’affidamento dei servizi ai privati (una regola, in Europa continentale, in controtendenza rispetto al settore penitenziario).

La tesi analizza poi le prassi detentive nei punti di approdo di massa delle frontiere esterne dell’Unione, in cui la privazione della libertà personale trova spesso applicazione generalizzata e/o de facto in centri non di rado fatiscenti e sovraffollati; quanto accade oggi con l’attuazione del Sistema Hotspot. Emergono significativi indizi del carattere sostanzialmente penale che talora assume la misura,  e della sua sostanziale inefficienza alla realizzazione dello scopo amministrativo.

La conclusione: ferma restando l’esigenza di una revisione critica delle attuali politiche migratorie, la detenzione amministrativa va condotta sui binari dei diritti umani e ne va drasticamente ridotto il campo di applicazione. Ciò richiede non solo la ricerca di alternative umane ed efficienti ma anche la  piena consapevolezza da parte della società civile del lato oscuro delle politiche della sicurezza.

La versione qui pubblicata è aggiornata al 25 febbraio 2019, con l’esame del caso Diciotti.