La Cassazione sulla qualificazione processuale della registrazione dell’incontro all’hotel Metropol di Mosca nell’ambito dell’indagine “Russiagate”
in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 2 – ISSN 2499-846X
Cassazione penale, Sezione VI, Sentenza 13 febbraio 2020 (ud. 17 dicembre 2019), n. 5782
Presidente Petruzzellis, Relatore Giordano, Ricorrente Savoini
La pronuncia del Supremo Collegio qui allegata tocca, seppur nelle sue fasi iniziali e per aspetti di natura rituale, i fatti oggetto dell’indagine, assurta alle cronache con il nome di “Russiagate” e aperta dalla Procura di Milano a seguito della acquisizione di una registrazione audio pubblicata nel luglio 2019 da un sito web di informazione americano, nella quale – stando alla lettura pubblica che ne è stata data – alcuni soggetti italiani e russi si sarebbero accordati in un hotel a Mosca nell’ottobre del 2018 per una compravendita di prodotti petroliferi, nell’ambito della quale una parte del prezzo avrebbe dovuto essere illecitamente stornata a favore della Lega e di alcuni soggetti russi, che avrebbero dato il benestare al finanziamento del partito politico italiano in virtù della propria qualifica di pubblici ufficiali.
Oggetto della sentenza è proprio la citata registrazione, che la Procura aveva acquisito da un giornalista, il quale – all’atto di consegna – dichiarava al Pubblico Ministero che il file audio era stato registrato in diretta da un soggetto che si trovava nel luogo dell’incontro. Dichiarava altresì il giornalista di non poter rivelare l’identità di questo soggetto, nel rispetto della riservatezza delle fonti giornalistiche e del segreto professionale previsto dall’art. 200 c.p.p..
Sulla base di questa ricostruzione la difesa di uno degli indagati, destinatario di un provvedimento di sequestro probatorio di dispositivi elettronici ed altri beni, contestava – prima innanzi al Tribunale del riesame di Milano e successivamente alla Suprema Corte – che dall’acquisizione di tale elemento potesse trarsi il fumus delicti necessario per la misura investigativa.
In questo caso, infatti, la notitia criminis non sarebbe stata legittimamente acquisita, in quanto la registrazione audio (i.) non può qualificarsi alla stregua di documento ex art. 234 c.p.p., in quanto non è provato che chi ha formato l’atto abbia preso parte all’incontro, (ii.) deve, piuttosto, qualificarsi come intercettazione illegale o denuncia anonima e, come tale, (iii.) è colpita dalla sanzione dell’inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p., né può validamente costituire notitia criminis e quindi consentire l’inizio di indagini ex art. 333, co. 3, c.p.p.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo che nel caso di specie la notitia criminis sia stata validamente acquisita e, per conseguenza, la Procura della Repubblica legittimamente abbia disposto l’atto di indagine impugnato. La motivazione a fondamento di tale conclusione si sviluppa lungo i seguenti punti.
1. La registrazione audio non ha (allo stato) natura di documento.
Anzitutto, la Corte ha convenuto con la difesa sul fatto che allo stato degli atti la registrazione non possa essere qualificata come documento.
Giurisprudenza autorevolissima sul tema (Cass. Sez. Un. n. 36747/2003, Torcasio) esclude che, nel caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, possa versarsi in ipotesi di intercettazione, difettando la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione. Il contenuto della comunicazione interprivata, infatti, viene legittimamente appreso da chi palesemente vi partecipa o vi assiste ed alla registrazione di tale comunicazione difetta il requisito della estraneità del captante che caratterizza, invece, il concetto di intercettazione.
In altre parole, attraverso la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o altri interlocutori: da qui la conclusione che la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o che legittimamente vi assista, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p.
Tuttavia, nel caso di specie non vi è prova che la registrazione dell’incontro all’hotel Metropol di Mosca sia stata acquisita da soggetto partecipante al colloquio, né che questi ne abbia appreso il contenuto in modo legittimo e trasparente. Allo stato, dunque, non vi sono elementi sufficienti per qualificare l’atto ex art. 234 c.p.p..
2. La registrazione audio non ha natura di denuncia anonima.
Ad avviso del Supremo Collegio neppure si versa in ipotesi di denuncia anonima, la quale – secondo quanto previsto dall’art. 333, co. 3, c.p.p., come interpretato dalla giurisprudenza più recente, vd. Cass. n. 34450/2016, Morico, commentata in questa Rivista da G. Morgese – non costituendo rituale notitia criminis, non permetterebbe la formale iscrizione di un procedimento e, dunque, lo svolgimento di atti di indagine, quali perquisizioni, sequestri o intercettazioni telefoniche.
Infatti, diversamente da una denuncia anonima, il file audio in questione non contiene una dichiarazione di scienza dell’anonimo denunciante, bensì riproduce un accadimento della realtà (il colloquio) e rimanda al contenuto dichiarativo di soggetti terzi (i partecipanti all’incontro).
3. La registrazione audio va considerata (allo stato) atto inutilizzabile.
Tenuto conto che allo stato degli atti non può escludersi che il soggetto captante abbia segretamente registrato la conversazione tra soggetti terzi, senza avervi preso parte, in tal modo violando il diritto alla segretezza delle comunicazioni garantito dall’art. 15 Cost., la Suprema Corte ha ritenuto, pur non potendo dare una qualificazione dell’atto certa ed inequivoca, che esso sia effettivamente colpito dalla sanzione processuale della inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p., almeno sino a quando le modalità di realizzazione dell’atto non saranno chiarite.
4. La registrazione costituisce comunque una valida notitia criminis.
Pur trattandosi di prova (allo stato) inutilizzabile, la registrazione costituisce a tutti gli effetti notitia criminis, che legittima il compimento di atti di indagine, ivi compresi i mezzi di ricerca della prova quali la perquisizione e il sequestro.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affrontato e circoscritto il tema della inutilizzabilità all’interno del processo stricto sensu inteso, con riguardo ad una prova o ad un indizio cautelare, ma non anche come sanzione processuale riferita alla fase delle indagini preliminari, ai fini dell’attivazione e prosieguo delle indagini.
È infatti univoco l’indirizzo della Suprema Corte, secondo cui l’operatività della garanzia di inutilizzabilità dei mezzi probatori illegittimi è riservata al momento giurisdizionale, da intendersi non solo come fase dibattimentale, ma come ogni fase o sede nella quale il giudice assume le proprie decisioni; pertanto le informazioni assunte attraverso mezzi di prova illegittimi, inutilizzabili per il giudice, possono essere utilizzate legittimamente dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria per il prosieguo delle indagini.
Per conseguenza, il mezzo di ricerca della prova disposto dalla Procura di Milano è stato disposto in conformità alla legge.
**
La conclusione cui è giunta la Suprema Corte, a prima lettura condivisibile, induce a qualche rapida riflessione – puramente teorica ed ipotetica non essendo compiuta l’indagine né conosciuti tutti gli elementi sin qui raccolti – sulle conseguenze investigative cui essa potrebbe condurre.
Per quanto noto, il fatto sarebbe consistito in un mero accordo tra i soggetti partecipanti all’incontro registrato, senza che esso sia mai stato eseguito: non sarebbero, infatti, seguiti alcuna effettiva compravendita, né, per conseguenza, alcun flusso di denaro, lecito o illecito.
Se così fosse davvero, la prova dei fatti potrebbe rivelarsi piuttosto ardua: impossibile tracciare flussi contabili, difficile individuare testimoni, specie ove l’accordo sia rimasto riservato oltre che ineseguito.
Ecco allora che l’analisi del contenuto dei dispositivi informatici dell’indagato, che sono stati oggetto di sequestro, appare particolarmente utile in chiave investigativa ed eventualmente in chiave probatoria, sopratutto nel caso in cui la “prova regina” del fatto – vale a dire la registrazione – fosse effettivamente dichiarata inutilizzabile in sede giurisdizionale.
In sintesi, una pronuncia di senso opposto, che avesse individuato un vizio di legge nell’atto di indagine e lo avesse invalidato, avrebbe forse notevolmente complicato il prosieguo dell’indagine. Viceversa, la sentenza della Corte potrebbe aprire nuovi scenari investigativi.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Roccatagliata, La Cassazione sulla qualificazione processuale della registrazione dell’incontro all’hotel Metropol di Mosca nell’ambito dell’indagine “Russiagate”, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 2